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Wu Ming Contingent, a Luino l’anima post rock del collettivo

Sabato 24 maggio, per la manifestazione "Fuori chi Legge", il collettivo sarà protagonista con il suo progetto musicale ma non solo. Ecco l'intervista

Tutti conoscono Wu Ming per i loro libri. Ma non tutti sanno che il collettivo di scrittori bolognesi, ha anche un lato post-rock. Il gruppo che ha animato e continua ad animare la scena culturale italiana infatti, sabato 24 maggio, sarà a Luino per la manifestazione "Fuori chi legge"dove presenterà l’album dei Wu Ming Contingent (ore 20,30, Parco Ferrini, ingresso libero).
Alle 19 saranno invece, tra i progonisti della tavola rotonda accanto alla cantautrice Maria Antonietta, lo scrittore Stefano Laffi, il rapper Amir Issaa e Lorenzo. Nell’intervista Giovanni Cattabriga risponde alla nostre domande, dove si parla di letteratura e musica, ma non solo. Dopo la mezzanotte invece, "gita in notturna" in biblioteca: Wu Ming condurrà i presenti a conoscere i loro 10 libri preferiti (su iscrizione)

Raccontaci come nasce questa esperienza editoriale…
«Wu Ming, e prima Luther Blissett, nasce a metà degli anni ’90, da un progetto artistico collettivo che produceva riviste, programmi radio, teatro di strada, beffe mediatiche. Abituati a questa creatività allargata, abbiamo deciso di applicarla alla letteratura, un ambito dove invece regna l’individualismo e l’autorialità è sempre declinata alla prima persona singolare».

Wu Ming Wu Ming ha animato e continua ad animare la scena culturale italiana. Questa volta con due opere uscite in contemporanea. Una "L’armata dei sonnambuli", l’altra è Bioscop, l’album dei Wu Ming Contingent, il progetto musicale di Wu Ming. Cosa troverà chi è incuriosito dall’ascolto di questo disco? E che tipo di spettacolo si potrà vedere a Fuori chi legge"?
«Il disco è spiazzante, qualcosa che non ti aspetteresti da una band di scrittori. Dieci canzoni declamate, dieci vite ribelli raccontante alla maniera dei cantastorie, ma dentro un genere musicale vicino alla new wave, al punk, agli ascolti e ai suoni con i quali siamo cresciuti. Lo spettacolo, di conseguenza, è un vero e proprio concerto, un live rabbioso e compatto».

Wu Ming 2, guardando la copertina della vostra ultima opera, L’armata dei sonnambuli, mi sono domandato perché avete scelto una maschera per raffigurare lo scenario storico della rivoluzione francese, puoi togliermi questa curiosità?
«All’interno del romanzo agisce un supereroe mascherato, vendicatore dei torti subiti dal popolo di Parigi. È uno dei quattro personaggi principali, ma gli abbiamo dedicato la copertina perché la sua interpretazione "teatrale" della politica – attraverso il doppio senso del verbo "rappresentare" – è una delle chiavi di lettura dell’intero romanzo».

Dopo il cristianesimo rivoluzionario di Q, la Costantinopoli di Altai, l’America dei nativi di Manituana, ora Wu Ming apre il sipario su un periodo pieno di contraddizioni. C’è un collegamento tra il nostro presente e quel lontano 1793-94?
«La Rivoluzione Francese ha plasmato la politica come la conosciamo oggi. I concetti di destra e sinistra sono nati allora. Oggi, da più parti, si invoca un superamento di questa dicotomia e ci si convince che sia "nuovo", "al passo coi tempi" definirsi né di destra né di sinistra. Siamo risaliti al tempo nel quale quei concetti vennero definiti per capire che cosa significano e perché è ancora il caso di utilizzarli».

Chi sono i sonnambuli?
«Quelli che si fanno convincere a stare sereni, quando invece dovrebbero lottare, e quelli che si arruolano in una lotta, senza rendersi conto che non è la loro».

Nella grande cornice dell’evento storico tutti i protagonisti vivono una personalissima lotta interiore. Cosa ti affascina di più del concetto di rivoluzione, l’aspetto personale o la lotta sociale che la anima?
«Il connubio tra le due dimensioni. L’idea che nessuna rivoluzione può reggere, se non riesce a plasmare persone nuove. D’altra parte, nessuna rivoluzione personale è sufficiente, se si vuole giustizia e uguaglianza sociale. Il corpo sociale e il corpo individuale vanno curati assieme, con un unico progetto. Ma è un progetto che deve prendere vita nel cuore di ognuno: la rivoluzione non si può fare a tavolino, e nemmeno con la tecnologia. La rivoluzione – come cantiamo in uno dei nostri pezzi, parafrasando Gil Scott Heron – "non sarà uno spettacolo on demand, ma potrai farla sempre e solo dal vivo"».

Due grandi aspetti contraddistinguono questo nuovo romanzo: la ricerca linguistica e i personaggi femminili. Come avete ricostruito il gergo del popolo e quali donne vi hanno ispirato durante la stesura de L’armata dei sonnambuli?

«Per calarci nelle strade della Parigi rivoluzionaria, abbiamo sentito il bisogno di distinguere la parlata del diverse classi sociali. Sappiamo che un aristocratico francese e un uomo del popolo potevano arrivare a non capirsi, tanto erano diverse le rispettive lingue. Per rendere il gergo del popolo, ci siamo inventati un grammelot fatto di espressioni popolari dell’epoca (tradotte dal francese), parole francesi italianizzate a forza ("garzo" per "garçon"), neologismi ("enormissimo drago di fremenda bellezza") e prestiti dai dialetti gallo-italici che si parlano in Emilia. Il risultato è una lingua comprensibile ma straniante, grazie alla quale il lettore si rende conto di aver di fronte uno strano animale: la bestia proletaria dei foborghi parigini.
Rispetto ai personaggi femminili, ci siamo ispirati alle donne che abbiamo trovato nei verbali di polizia, nelle riunioni politiche, negli assalti ai negozi, nelle processioni. Donne che hanno lasciato tracce nei documenti d’archivio e nella Storia, ma molto meno nei libri. Donne come Pauline Léon, Claire Lacombe, Théroigne de Méricourt. Uno dei libri più utili, per chi volesse ritrovare le loro vicende, è il testo di Dominique Godineau, "Cittadine tricoteuses. Le donne del popolo nella Rivoluzione francese"».

Ci avviciniamo alle elezioni europee e più di un partito promette miracolose guarigioni alla crisi economica e di valori cui stiamo assistendo. Una rivoluzione che passa dal far sentire tutti protagonisti di qualcosa di grande (ma governato da pochi) ai processi in rete a politici e giornalisti. Che idea hai del presente italiano? Quella che si prospetta è una "rivoluzione" o 
un’ ipnosi collettiva?

«Da anni giriamo l’Italia in lungo e in largo, per suonare e incontrare i lettori. E ogni volta ci stupiamo nel trovare decine e decine di realtà, soggetti, associazioni che resistono e tengono duro in mezzo al naufragio, con intelligenza ed entusiasmo. Viene da pensare che se queste forze riuscissero a stringersi come le dita di una mano, e a collegarsi con le lotte sociali e ambientali che punteggiano la Penisola, allora il cambiamento sarebbe inarrestabile».

Durante "Fuori chi legge", racconterai al pubblico i dieci libri a cui siete più legati. Ce ne anticipi tre…
«"Rivoluzionario di passaggio" di Paco Taibo II, per il suo modo di raccontare e far vivere una vicenda dimenticata, sepolta nella polvere degli archivi. "I reietti dell’altro pianeta" di Ursula K. Le Guin, che attraverso la fantascienza riesce a esplorare il senso della parola "libertà". Infine "Cecità" di Saramago, per la geniale allegoria della società contemporanea».

Pubblicato il 23 Maggio 2014
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