Nell’era dell’industria 4.0 scuola e impresa devono dialogare di più
Le classi quinte dell'istituto superiore Carlo Alberto dalla Chiesa hanno dedicato l'assemblea al tema del lavoro invitando l'economista della Bocconi Marco Percoco e il ricercatore della Liuc Giovanni Pirovano
«Io vorrei fare l’imprenditore e mi piacerebbe fondare un centro di ricerca. E credo che il primo passo da fare sia ascoltare gli altri». Basterebbe questa frase di Jacopo, studente dell’istituto superiore “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Sesto Calende, per mettere fine ad ogni polemica sui giovani “sdraiati” di oggi. Insieme ai suoi compagni delle classi quinte, Jacopo ha dedicato due ore dell’assemblea di istituto ad ascoltare due esperti: il docente di economia politica all’università Bocconi, Marco Percoco, e il ricercatore della Liuc di Castellanza Giovanni Pirovano . L’incontro, organizzato in collaborazione con i giovani democratici Floriana Tollini e Alessio Colombo, era incentrato su un tema fondamentale per chi si appresta a sostenere l’esame di Stato: “Il mondo del lavoro tra presente e futuro”.
INDUSTRIA 4.0 È UN’OPPORTUNITA‘
Dopo l’introduzione del dirigente scolastico Elisabetta Rossi, Pirovano ha spiegato che cosa si intende con il termine industria 4.0 e come questo nuovo paradigma si integra con l’esistente, per esempio con la produzione Lean. «Quel 4.0 indica che questa è la quarta rivoluzione industriale – ha detto il ricercatore della Liuc – ma rispetto alle precedenti ha dei caratteri di discontinuità molto forti a partire dal fatto che implementa più tecnologie produttive. Si va da quella additiva, rappresentata dalle stampanti 3D, all’Iot (internet delle cose ndr), fino alla realtà aumentata, che voi avete sperimentato con il gioco dei pokemon go, passando per le nanotecnologie e l’intelligenza artificiale. Molte aziende già le utilizzano e il ruolo della nostra università è proprio quello di tresferire conoscenze e competenze su questo fronte alle imprese».
Tra le figure più richieste, secondo l’esperienza di Pirovano, ci sono gli ingegneri e tutte quelle figure tecniche e scientifiche che hanno competenze nell’analisi dei big data, ma a tutti è richiesta una qualità: la flessibilità intelligente, perché è lo stesso processo produttivo che lo richiede.
SCUOLA E IMPRESE DIALOGANO?
Marco Percoco ha sfatato un altro logo comune piuttosto diffuso che vuole la scuola italiana ultima in tutte le classifiche. «Non è così – ha detto il docente della Bocconi – e basta usare la logica per capirlo: se le nostre scuole e università non funzionano, per quale motivo i nostri ricercatori sono i più richiesti all’estero? È sufficiente fare un giro nella Silicon Valley per constatare che nelle grandi aziende tecnologiche, da Google a Facebook, ci sono molti laureati italiani e non sono nemmeno tutti ingegneri, si trovano filosofi, geografi, economisti».
Le vecchie logiche del sistema Paese, secondo Percoco, imbrigliano le forze fresche, proprio quelle che potrebbero innovare. «In Italia il settore delle costruzioni è preso come punto di riferimento per capire se il sistema economico è in ripresa. Si continuano a dare sussidi a settori decotti e poi si rimprovera la scuola che non è in grado di formare figure professionali adeguate e di essere statica. È uno schema che andrebbe ribaltato: prima devono cambiare i processi produttivi e poi bisogna chiedere alla scuola di cambiare».
C’è un problema di declino industriale che va di pari passo con il declino dei territori. «Il mio collega Enrico Moretti (che ha avuto grande fortuna negli Usa, ndr)– sottolinea Percoco – lo spiega bene nel libro “La nuova geografia del lavoro“: bisogna rendere competitivi i territori in termini di servizi e vivibilità se vuoi attrarre intelligenze e valore. Un consiglio ai ragazzi? Abbiate fame».
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