Il serraglio di Uncle Goose
di Paolo Negri
Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci.
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Dedicato al serraglio artistico Metropolitain sito nel centro storico di Castiglione Olona e al suo domatore Nicolò Piva
Uncle Goose ascoltava il desert rock sulla sedia a dondolo, dondolando nel Texas sotto al sole; scricchiolava la sedia, scricchiolava il vinile. Uncle Goose era il proprietario di una pompa di benzina quando ancora la benzina non esisteva. Ogni settimana una diligenza gli consegnava sigarette non ancora chiuse, buste, caramelle e pezzi di mondo importati dal futuro che a lui piaceva collezionare. Giusto quel martedì Uncle Goose guardava soddisfatto quell’insegna: “pericolo di morte”, creata per avvisare i viaggiatori di non toccare i fili della corrente di un treno che da lì a qualche decennio sarebbe arrivato. Il teschio, ivi presente, incrociò le ossa e soffiò beffardo qualche granello di sabbia. Uncle Goose, sibilando, lesse “pericolo di notte”, tirò fuori la pistola dal fondello e sparò al sole. Colpì quell’astro, sempre alto in quella terra, giusto in faccia. La caduta del corpo celeste fu perpendicolare al suolo terreste e la bocca di un pozzo accolse quella pillola gialla. Ovviamente s’inghiottì anche la sua luce poi ruttò. Fu così che Uncle Goose conobbe la notte.
Dopo una settimana si stufò del buio e cercò delle candele in magazzino. Tra insegne di sali dal Marocco, copertoni usati da Bobet per scalare l’Izoard, una stecca da biliardo spaccata in testa all’imbattibile automa Giorgio e una fasciatura per il mal di denti usata da Van Gogh sporca di giallo girasole, Uncle Goose trovò un richiamo per coyote. Uscì, e sotto la veranda, sotto il coperchio plumbeo, fischiò.
Passati sette giorni, Uncle Goose, sempre dondolandosi nell’oscurità e chiedendosi dove la diligenza fosse finita, vide arrivare un vecchio coyote. Gli si sedette ai piedi. Divennero amici.
La terza settimana arrivò un indiano alla guida di un uccello truccato. Si tolse il casco e chiese se avesse visto il sole. Il coyote strabuzzò gli occhi. Uncle Goose fece girare sull’indice destro la sua pistola e si mise a ridere. L’indiano capì, risalì sull’uccello e tornò a casa dove l’attendevano le sue api.
Fu un bambino, incaricato di andare a prendere un secchio d’acqua fuori dal paese, a imbattersi nel sole addormentato in fondo al pozzo. E quando sporgendosi, vide quella luce, pensò di averla combinata grossa e tornò a casa veloce come la paura. La madre lo accolse con quattro calci nel culo. La mancanza d’acqua infatti impedì di cucinare il risotto con salsiccia per lo zio Goose, venuto apposta dal deserto per mostrare al cognato una rarità che nessuno aveva in città: i lacci delle scarpe con le quali Elvis inciamperà a 16 anni, la sua prima volta su di un palco! Il nipote chiese allo zio: “Ma se tu hai i lacci delle scarpe, come farà a inciampare Elvis?”. Uncle Goose fece girare sull’indice destro la sua pistola e si mese a ridere.
Racconto e illustrazione/collage di Paolo Negri
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