La scuola al tempo del coronavirus, i riti di speranza
Un nuovo appuntamento con la storia locale attraverso il materiale selezionato da Paolo Crosa Lenz per le scuole del Vco
La scuola a tempi del coronavirus, terza “puntata” con la selezione di materiale storico curata da Paolo Crosa Lenz e messo a disposizione per uso informativo e didattico dallo scrittore e docente ossolano. Dopo la peste la traccia di questo nuovo approfondimento riguarda i riti di speranza, un tema che si ricollega alla Pasqua appena trascorsa. Il prossimo appuntamento tratterà invece di gente che non ha voluto saperne di “restare a casa”: i nostri emigranti.
La scuola al tempo del coronavirus / 3
I riti di speranza
I riti di speranza permeano la storia del mondo contadino di montagna. In antropologia sono riti (comportamenti individuali o collettivi rigidamente codificati) finalizzati a risolvere un problema della comunità (speranza in un futuro migliore). Sembra roba lontana, ma è attualità. Possono essere laici: la Carcavegia della Bassa Ossola (l’uso beneaugurante di bruciare il fantoccio della persona più vecchia del paese per l’Epifania) oppure il Calendimaggio nel Cusio (i riti festosi per la rinascita della natura). Sui monti dell’Ossola sono per lo più religiosi: processioni per implorare la pioggia dopo un periodo siccitoso o per implorare il ritorno del sole dopo piogge prolungate. Anche liberatori dopo calamità naturali: valanghe, frane e alluvioni. Estraggo dalla letteratura in materia, alcuni brani esemplificativi.
Una scommessa di ricerca: quali riti di speranza oggi?
In processione per la pioggia
Antillone, Puneiga in lingua walser, è un villaggio abbandonato di Formazza: una manciata di case fra i boschi, qualche fienile e prati stretti attorno ad un oratorio secentesco; poco più in là un laghetto in lenta agonia. All’interno dell’oratorio di Antillone, dedicato alla Visitazione di Maria e con una venerata statua di S. Elisabetta, è visibile uno stupendo affresco recentemente ripulito e fissato che descrive una lunga processione di uomini e donne in costumi secenteschi che camminano sulle montagne per recarsi al santuario del S. Gottardo. Questa processione si svolgeva fino al Seicento il 25 giugno da Formazza al Gottardo: quaranta chilometri, in giornata e con qualsiasi tempo. Nel XVII secolo il vescovo di Novara commutò il pellegrinaggio in una processione annuale all’oratorio di Antillone dove venne dipinto l’affresco di S. Gottardo. Oggi, quella “cartolina” è il documento straordinario di un’estrema devozione popolare.
Antillone era anche meta di un’altra processione che gli abitanti di Salecchio e di Agaro effettuavano per raggiungere la chiesetta terminata nel 1644, ma che la tradizione vuole eretta sui ruderi di una precedente: la più antica della Valle Formazza. Ancora alla fine dell’Ottocento e fino agli anni ’60 del Novecento, la processione ad Antillone, con la statua della Madonna portata dagli uomini con due stanghe di legno era pratica regolare e diffusa. Si andava ad Antillone, quattro ore a piedi da Salecchio, per invocare la pioggia durante i periodi di siccità oppure per richiedere il bel tempo dopo lunghi periodi piovosi. Quella pioggia che era fondamentale per la crescita di segale e patate e per una buona raccolta di fieno.
L’altra meta processionale era Mozzio, al santuario della Madonna della Vita sulla roccia di Smeglio. Si partiva all’alba e si tornava al tramonto, a volte accompagnati dai montanari di San Rocco e Premia. Durante la processione, guidata da un “regolatore”, la statua della Vergine di Salecchio era portata a spalla dai confratelli. Durante il ritorno, vi erano le soste nelle chiese di Baceno e Premia e negli oratori di S. Rocco e di S. Giulio al Passo. Nel 1945 avvennero due processioni a Mozzio: una per richiedere la pioggia e una come ringraziamento per il ritorno dei prigionieri di guerra.
Brevi processioni in Salecchio avvenivano attorno alla chiesa di S. Maria per la Candelora e il 15 agosto per la festa di S. Maria Assunta. Altre avvenivano, per S. Marco, il 25 aprile al Morando passando per la Cappella dello Zucchetto e il 5 agosto, giorno in cui era sospesa ogni attività agricola, alla cappelletta della Madonna della Neve tra Salecchio Inferiore e Superiore.
AA.VV . I Walser del silenzio Grossi, Domodossola, 2003
Processioni ad Antillone e a Mozzio
Un prezioso memoriale, raccolto da Candido Pali nella casa di famiglia e fortunosamente conservato, permette di “leggere” la quotidianità della vita di Salecchio. Fu scritto tra il 1870 e la fine del secolo e si compone di varie parti: la registrazione quotidiana delle attività svolte e delle condizioni meteorologiche, gli spostamenti del bestiame da un luogo all’altro in relazione alle annate più o meno secche o piovose, i riti processionali per l’invocazione della piogia , la contabilità minuta dell’erba di rupe raccolta e dei campi seminati. La memoria, raccolta in più quaderni, è scritta in italiano ma con frequenti frasi in lingua walser quando l’italiano non permetteva di rendere compiutamente la quotidianità di Salecchio, così come è sempre walser la microtoponomastica di un prato, un campo, una cascina. L’autore, come emerge dall’albero genealogico di famiglia, fu probabilmente Giuseppe Pali (1828 – 1909), figlio di Filippo e Caterina D’Andrea. Sposò Marianna Pali da cui ebbe undici figli (sei maschi e cinque femmine) e aveva casa a Im slughe , nei pressi della chiesa di Salecchio Inferiore.
1871
9 giugno
Siamo andati in processione in antillone per la piogia
1871
10 settembre
Siamo andati in processione in antillone per la piogia
1872
26 maggio
Siamo andati in processione in antillone per il bel tempo
1873
25 maggio
Siamo andati in processione in antillone
1873
30 giugno
Siamo andati in processione in antillone per la piogia
1874
9, 10,11 giugno
Un triduo per la pioggia
1875
19 luglio
Siamo andati in processione in antillone per il bel tempo
1876
13 agosto
Siamo andati in processione in antillone per la piogia
1878
21 luglio
Siamo andati in processione in antillone per la piogia
1879
2 giugno
Siamo andati in processione in antillone per il bel tempo
1880
13 luglio
Siamo andati in processione in antillone per il bel tempo
1881
10 luglio
Siamo andati in processione per la piogia
1881
16 luglio
Siamo andati in processione in antillone per la piogia e ha piovuto appena che siamo rivati alla sera
1881
12, 13,14 agosto
Un triduo per la piogia
1881
18 agosto
In processione a Mozio con quelli di S. Rocco e il giorno 20 agosto ha piovuto
1882
18, 19, 20 settembre
Un triduo per il bel tempo
1885
28 giugno
Fatta una processione in antillone per la piogia, il 29 ha piovuto
1885
24 agosto
Un’altra processione in antillone per la piogia, il 26 ha piovuto
1887
19 giugno
In processione in antillone per la piogia
1887
24 giugno
In processione a Mozio con queli di S. Rocco e Premia
1888
Un triduo per il bel tempo nel mese di luglio e agosto
1890
25, 26, 27 giugno
Un triduo per la piogia e il 29 ha piovuto
1891
Un triduo in agosto
1892
31 maggio
In processione in antillone per la piogia e la sera ha piovuto
1892
12 giugno
In processione in antillone per la piogia e la sera ha piovuto e il 14 ha piovuto per bene
1892
22 agosto
Siamo andati in processione in antillone fatta la promessa il 18 agosto di andare per la pioggia è poi piovuto il venti e Ventuno; il 22 siamo andati a ringraziare il Signore della Grazia ottenuta.
1893
24 aprile
Siamo andati in processione in Antillone con quelli di s. Rocco, Cioè quelli di S. rocco sono venuti qui a salecchio anno cantato la S. Messa e devozione col SS. Sacramento, il curato di S. Rocco don Bozzola, dopo siamo andati insieme in antillone lì ha detto messa Don Pietro Anderlini con Benedizione col SS. Sacramento. Dopo siamo andati fino a S. Rocco insieme sempre in processione e il 26 ha piovuto discretamente.
1893
9 maggio
Siamo un’altra volta in processione con quelli di S. Rocco alla Madonna della Vita a Mozzio e poi ha piovuto il 10 e 11 un poco.
AA.VV . I Walser del silenzio Grossi, Domodossola, 2003
L’amico Guido Canetta di Bee, mi segnala questa vicenda verbanese ambientata alla fine del XV secolo in una non precisata “Cappella della Zeda”.
I greggi avevano da tempo abbandonato i pascoli riarsi e ricoverati entro tuguri nelle viscere delle valli venivano decimati. Le donne prostrate davanti agli altari supplicavano invano il Crocifisso. Il popolo di Oggebbio, convenuto sull’ampia piazza, deliberò il pellegrinaggio, sette ore di cammino a piedi nudi e con il divieto di cibo e di bevande. Il parroco don Domenico, un omone che passava il quintale, aveva inutilmente cercato di opporsi a quella penitenza, per lui un vero supplizio infernale … ma fu costretto a guidare la processione verso Pian Compra, lo Spalavera, Cima Ravarion [Bavarione?] e il Piano dei Morti dove le anime dei defunti convengono nelle notti più nere. Quando a Dio piacque arrivarono alla Cappella dello Zeda e qui il parroco celebrò la messa e nella predica, ricordando che il Signore invia i suoi castighi per far rigare diritto la gente, ammonì i parrocchiani che a voler forzargli la mano, sia pur con pellegrinaggi come quello, e a non soppor tare con pazienza le disgrazie, correvano il rischio di attirare dal cielo una rovinosa grandinata e non la tanto desiderata pioggia! Durante la discesa, quando giunsero a Manegra videro spuntare dai Pizzoni di Laveno nuvole nere gravide di pioggia che il vento spingeva verso altre più scure lungo la cresta dei Gridoni. Le Confraternite ebbero appena il tempo di riporre i paramenti nella Chiesa parrocchiale che si scatenò un finimondo: un turbine avvolse il sagrato e chicchi di grandine grossi come noci in pochi istanti ricoprirono lo spiazzo. Un’ora dopo il lago tornava a distendere le sue acque calme ma il pendio sovrastante mostrava ovunque rami spezzati e contorti. E una donna che alla Cappella dello Zeda aveva udito la minaccia di don Domenico lanciò un’ingiuria contro il parroco accompagnata dall’accusa di stregoneria.
Leggende del Verbano Milano, 1931
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