Venere
di Laura De Filippo
Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci.
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Il bicchiere sul comodino con i residui del vino non bevuto, il libro sul pavimento, caduto aperto sulla pagina che leggeva. La cassapanca divelta con forza. Era tutto in disordine, vestiti sulla poltrona, sul tappeto, la cassaforte svuotata.
La stanza era stata fotografata dalla scientifica, catalogata dai colleghi, io ero arrivato a fasi preliminari concluse. Raccolsi il libro, “il sangue reale”, un giallo medioevale. La copertina aveva una spada come quella di Re Artù, sporca di sangue gocciolante. Che coincidenza, la vittima era stata uccisa con un coltello che avevano lasciato sul letto ed era sporco di sangue gocciolante. La ferita non sembrava mortale, la giugulare era stata sfiorata.
Nel libro c’era un pezzo di carta strappato, un angolo di un foglio di quaderno, con scritto “Venere”. La colluttazione era stata violenta, forse il padrone di casa aveva sorpreso il ladro alla cassaforte e aveva tentato di fermarlo ma era stato ucciso con il colpo alla gola.
Due giorni dopo il ritrovamento del cadavere mi consegnarono il referto del medico legale: avvelenamento. Visto che coltello e avvelenamento non mi quadravano, chiesi di analizzare di nuovo le prove raccolte per approfondire le ricerche del veleno. Il coltello, in effetti, risultò positivo alla oleandrina, sostanza velenosa dell’oleandro giallo. La signora Odette, la moglie della vittima, era disperata. Non riuscivamo a parlarle, ci servivano delle risposte e lei veniva sedata dal medico. Feci una passeggiata per tornare a casa, pensavo alla copertina del libro e a quel pezzettino di carta, la parola Venere mi riecheggiava in testa. Ero davanti alla porta di ingresso, squillò il cellulare, era il mio collega che mi chiedeva di raggiungerlo, la signora Odette aveva avuto un attacco cardiaco ed era morta.
Trovammo un biglietto scritto dalla signora, aveva delle parole sbavate: L’aiuola centrale era il nostro sogno, la più bella del mondo, i fiori erano un incrocio tra l’oleandro giallo e le viole. Erano i fiori del nostro primo incontro. I petali con striature di entrambi i colori, la pianta si ergeva a cespuglio. Ci vollero dieci anni per quei risultati. Venere, questo era il suo nome. Per quella bellezza sfrontata e ostentata, come la dea. L’altro ieri pomeriggio abbiamo potato i rami per darle una forma armonica, Robert ha usato il suo coltello per qualche finitura. Quel medesimo coltello usato per ucciderlo. Mi aveva chiesto di pulirlo con molta cura. Se l’avessi fatto forse sarebbe ancora vivo. Non riesco a stare senza di lui. La signora aveva preso delle foglie del loro arbusto e le aveva usate per il suo tè del pomeriggio.
Racconto di Laura De Filippo, illustrazione di Letizia Ghirotto
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