Il racconto di un frontaliere: “In Svizzera troppa leggerezza, e io mi sento in pericolo”
Il racconto di un frontaliere di Varese che lavora in un fast food oltre confine e mette in evidenza il profondo squilibrio tra Italia e Svizzera nella gestione di questa fase dell'emergenza coronavirus
Mentre in Italia siamo alle prese con la discussione sulla cosiddetta “fase 2”, nella vicina Svizzera la fine del lockdown è già ad una fase ben più avanzata. Se da noi regnano ancora prudenza e timore, al di là del confine (dove molte aziende non hanno mai chiuso) hanno riaperto servizi come parrucchieri ed estetisti, ma anche diversi locali dove lavorano anche molti italiani.
Come vanno le cose ce lo racconta M., frontaliere di Varese che lavora in un fast food in Svizzera.
«Ho ripreso l’attività lavorativa da poco e sono rimasto sbalordito da come gli svizzeri abbiano preso in considerazione tutta questa situazione – dice Massimiliano – C’è un profondo squilibrio tra Italia e Svizzera. Se qua ad esempio non si può uscire, in terra elvetica invece è come se il virus non avesse mai varcato i confini. Sono tutti in giro, senza precauzioni, vedo inoltre che, parrucchieri ed estetisti sono tranquillamente operativi. Io stesso, mi trovo a lavorare con gruppi di 10 persone circa in spazi ristretti, seppur con mascherine e guanti, ma non tutti, e ripeto non tutti, rispettano questo tipo di norme».
Calarsi ogni giorno in questa “doppia” realtà è fonte di ansia e preoccupazione per M. e per tanti frontalieri: «Mi sento in pericolo e sono profondamente preoccupato, anche perché a casa mia c’è mio padre che ormai supera abbondantemente i 60 anni d’età. Allora in questo frangente, mi domando, qual è il senso di tutto ciò? Il Governo italiano, secondo le direttive del Comitato scientifico, ci consiglia ed impone di non uscire di casa, di evitare assembramenti, mentre in Svizzera succede tutt’altro».
Per M., c’è troppa leggerezza dall’altra parte del confine: «Sono molto arrabbiato oltre che spaventato. Mi è stato promesso che avrebbe avuto accesso all’attività lavorativa solo chi avesse avuto le condizioni di salute ottimali, ma se nessuno ci misura la febbre, come è possibile constatarlo? E mi preoccupa questo atteggiamento, a partire dei miei superiori, perché mi fa capire quanto sia importante in questa realtà il denaro rispetto alla salute, mentre per me la salute non ha prezzo».
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