La chiusura di Upim: “È stato uno shock”
Parlano i lavoratori del negozio di viale Milano che chiude dopo 50 anni di attività. «Se è vero che "Upim è di casa", ci aspettiamo onestà e buon senso da questa grande famiglia»
Per Carmen, Elisa, Sandro, Alessia e Chiara e per tutti gli undici dipendenti di Upim l’annuncio della chiusura del negozio storico di Varese è stato uno shock. Molti di loro nella sede di viale Milano ci lavorano da oltre quindici anni. Un legame forte che ha iniziato a vacillare con l’arrivo di una email: «Le comunichiamo che il negozio ove Lei opera ha ripristinato gli orari di apertura ante emergenza Covid e pertanto, lei riprenderà servizio temporaneamente a far data dal 20 maggio fino al 20/06/2020».
Dicono che sono inutili, ma a volte a fare la differenza sono proprio gli avverbi. E quel «temporaneamente» per molti di loro è suonato fin da subito strano. C’è chi ha pensato a un errore e chi a un problema legato alla pandemia e alla conseguente riorganizzazione del personale. Del resto il negozio di Varese, tra i cinque Upim più grandi d’Italia, andava bene, così bene che anche nei momenti più bui dell’ultima crisi economica non ha mai fatto un’ora di cassa integrazione.
«Abbiamo una clientela molto fidelizzata – dicono i lavoratori -. Le persone ci chiamano per nome e hanno fatto del negozio un punto di riferimento importante per i loro acquisti». In molti hanno domandato le ragioni di quel cartello messo in vetrina con la scritta “Fuori tutto al 70%”. «Ci hanno dimostrato molta solidarietà, perché hanno riconosciuto il buon lavoro fatto in tutti questi anni».
È evidente che questi lavoratori amano il loro lavoro e sono orgogliosi di quel marchio che ha fatto la storia dello shopping “democratico” in Italia (il primo negozio aprì a Milano nel 1928). Si aiutano reciprocamente nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con una solidarietà tipica delle squadre molto coese. Le più giovani sono nel negozio da almeno quindici anni, la metà hanno un contratto part-time con uno stipendio medio intorno ai mille euro.
La causa della chiusura, secondo le prime informazioni, sarebbe legata al mancato rinnovo del contratto di affitto. Dopo mezzo secolo, la proprietà dell’immobile avrebbe preferito un’altra offerta che non sarebbe sostenibile dal Gruppo Ovs, di cui fa parte Upim. Ora si apre la trattativa per definire il destino dei lavoratori e una prima ipotesi potrebbe essere un loro ricollocamento in uno dei tredici negozi del gruppo dislocati in provincia di Varese di cui circa la metà nel sud del Varesotto.
«Al momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall’azienda – dice Giuseppe D’Aquaro della Fisascat Cisl dei laghi – e quindi attendiamo la data del 20 giugno per aprire un tavolo di trattative, anche per avere qualche particolare in più che cosa sul mancato rinnovo del contratto di affitto. Inoltre, dobbiamo tener conto anche della crisi innescata dalla pandemia che tenderà a dilatare i tempi almeno fino alla fine di agosto. Però qui ci sono undici lavoratori e altrettante famiglie a cui bisogna dare una risposta nel più breve tempo possibile».
I lavoratori non hanno perso la speranza, anzi. Si appellano a quel senso di responsabilità che un marchio come Upim dovrebbe avere nei confronti dei suoi collaboratori. «Noi vogliamo rimanere in questa grande famiglia perché Upim come dice lo slogan “è di casa”. Speriamo che questa famiglia dimostri buon senso e onestà».
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