Cultura alpina e ambiente naturale: così le nostre montagne possono trovare il proprio ruolo nella contemporaneità
L'editoriale di Paolo Crosa Lenz per il secondo numero del 2020 de “Il Rosa”, in uscita questa settimana
È uscito questa settimana il secondo numero del 2020 de “Il Rosa – Giornale di Macugnaga e della Valle Anzasca“. Vi proponiamo l’editoriale del direttore Paolo Crosa Lenz.
Estate in montagna
Le Alpi “aperte”
Dopo i secoli incerti e tormentati dell’Alto Medioevo, quando il flagello di epidemie, carestie ed invasioni (ungari, saraceni, normanni) si abbinò ad un periodo di clima freddo, le Alpi e l’Europa si “aprirono”. Le alte montagne non furono più barriera tra il Mediterraneo e l’Europa centrale, ma un corridoio aperto segnato dalle grandi strade carovaniere, percorse da uomini, merci, idee. In questo periodo, che gli storici definiscono di “Alpi aperte”, l’optimum climatico del XIII – XIV secolo permise, con temperature elevate e un forte regresso glaciale, l’innalzamento delle colture e degli insediamenti stabili. Fu in questo periodo di incremento demografico che si costituirono le comunità alpine. Il superamento della servitù della gleba con l’introduzione di nuovi istituti giuridici, come quello dell’affitto ereditario, permisero alle Alpi di offrire agli uomini nuovi spazi dove vivere meglio (le libertà nate “nella foresta”).
Poi le Alpi si chiusero. La piccola età glaciale dal XVI al XIX secolo, con il raffreddamento repentino del clima e l’abbassamento dei limiti di coltivazione, portò all’esaurimento della grande spinta espansiva che aveva “addomesticato” la montagna con il taglio dei boschi e la costruzione degli alpeggi, lo spietramento delle praterie e l’utilizzo dei pascoli alti. In questo periodo di “Alpi chiuse” iniziò l’abbandono della montagna con le grandi migrazioni stagionali e permanenti. Le montagna, secondo la fortunata espressione dello storico francese Jaques Le Goff, divennero “fabbriche di uomini” per alimentare le botteghe e gli opifici delle città di pianura. Questa chiusura delle Alpi fu anche culturale: i baluardi dei Sacri Monti contro le “nuove idee” del Protestantesimo, la caccia alle streghe e agli untori portatori di peste. Furono secoli “bui”, quando vivere in montagna era sempre più difficile e faticoso.
Poi con l’Ottocento le Alpi tornarono ad aprirsi: il clima migliorò, i ghiacciai iniziarono a ritirarsi, gli illuministi (ri)scoprirono le Alpi leggendo il grande libro scritto da madre natura, la rivoluzione industriale permise la nascita del turismo, i gentleman inglesi trasformarono vette e pareti nel playground of Europe. Nella seconda metà del Novecento le Alpi cambiarono ancora, ridefinendo a fatica una loro collocazione nella nuova società europea. Un processo che è ancora in corso. Il turismo di massa cambiò radicalmente le fisionomia dei villaggi e la cultura degli uomini, l’antica povertà divenne moderno benessere, la fatica del lavoro sugli alpeggi si trasformò in un ricordo sempre più sbiadito, l’affermarsi dell’escursionismo diffuso cambiò la fruizione della montagna.
Con i primi decenni del Duemila, con la maturità di globalizzazione e digitalizzazione, le Alpi, come tutti i grandi sistemi montuosi del pianeta, devono ricollocarsi nella contemporaneità. Possiedono un capitale assoluto: l’ambiente naturale. Una natura sempre più fragile in tempi di cambiamenti climatici. Una seconda ricchezza è la “buona cultura” delle Alpi (solidarietà, rispetto, apertura). Anche la pandemia di covid 19, come ogni evento esterno improvviso e devastante, può aiutarci a diventare migliori. A questo “ripensamento culturale” delle Alpi devono partecipare tutti, soprattutto i nostri giovani. Va riconosciuto il grande ruolo pedagogico svolto in questi mesi dal Club Alpino Italiano (“Le montagne sanno aspettare”; “Le montagne hanno bisogno di noi. E noi di loro”). Come tutti, anche i gestori di rifugi, guide alpine ed escursionistiche dovranno modificare il loro modo di operare. Tutti i frequentatori delle Alpi quest’estate dovranno comprendere le loro fatiche. I grandi spazi aperti delle Alpi ci permetteranno di camminare liberi su sentieri antichi.
Paolo Crosa Lenz
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