Coldiretti all’attacco della “finta carne”: «Inganna i consumatori»
L'associazione ha lanciato a livello nazionale la campagna "Questa non è una bistecca". Il presidente varesino Fiori: «Non è un attacco ai prodotti vegetali, ma è una battaglia per la corretta informazione al consumatore»
Quella dizione – “burger” – trae in inganno facendo mettere nel carrello della spesa un prodotto che non è quello desiderato. Lo spiega la Coldiretti provinciale che sottolinea in una nota come un consumatore su dieci abbia commesso un errore, acquistando un cosiddetto hamburger vegano (o simili) invece della classica “svizzera” di carne.
I sondaggi condotti da Coldiretti Varese confermano quanto emerge da una analisi condotta a livello nazionale su dati Eurispes in riferimento al voto del parlamento europeo sull’abolizione del divieto di definire carne qualcosa che non arriva dal mondo animale, ma che nasce invece da un mix di sostanze vegetali, spezie, coloranti ed esaltatori di sapore. Senza una normativa più chiara c’è il rischio che i consumatori comprino prodotti realizzati con soia e spezie, legumi e succo di barbabietola denominati con termini che richiamano il mondo della carne, come “burger vegano” o “bistecca vegana”.
«Una strategia di comunicazione con la quale si fa leva sulla notorietà e sulla tradizione delle denominazioni di maggior successo della filiera tradizionale dell’allevamento italiano» spiega il presidente varesino di Coldiretti, Fernando Fiori «con il solo scopo di attrarre l’attenzione dei consumatori, rischiando di indurli a pensare che questi prodotti siano dei sostituti, per gusto e valori nutrizionali, della carne e dei prodotti a base di carne».
L’associazione dei produttori agricoli sottolinea l’importanza degli “originali” anche a livello storico: «La carne e i prodotti a base di carne fanno parte della dieta tradizionale dei nostri territori; le ricette tramandate nei secoli appartengono al nostro patrimonio gastronomico. Permettere a miscele di vegetali di utilizzare la denominazione di carne significa favorire prodotti ultra-trasformati con ingredienti frutto di procedimenti produttivi molto spinti dei quali, oltretutto, non si conosce nemmeno la provenienza della materia prima. L’Unione Europea infatti importa ogni anno milioni di tonnellate di materia prima vegetale da tutto il mondo. L’emergenza globale provocata dal coronavirus ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità e sicurezza che vanno tutelate anche dall’utilizzo di nomi o definizioni fuorvianti in un momento così delicato per la vita delle famiglie e l’economia dell’Italia e dell’Europa».
Le principali organizzazioni agricole europee hanno lanciato la campagna “Questa non è una bistecca”: «Il marketing delle imitazioni può creare confusione sui valori nutritivi dei prodotti – evidenzia Fiori – per questo il dibattito sulla denominazione della carne non è un attacco ai prodotti vegetali, ma è una battaglia per la corretta informazione al consumatore». La Corte di Giustizia europea – ricorda Coldiretti – si è già pronunciata in passato sul fatto che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come latte, crema di latte o panna, burro, formaggio e yogurt, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale” anche se “tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”. Con la sola eccezione del tradizionale latte di mandorla italiano.
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