Sostenere l’economia di montagna si può, anche con gli impianti chiusi
La stagione invernale quest'anno sarà diversa. Non sappiamo se gli impianti riapriranno e come, ma le vie alternative per l'economia locale esistono. A chi ama e frequenta la montagna il compito di scegliere
Piste aperte o impianti chiusi, accesso con mascherina o ingressi limitati se non del tutto bloccati. Si continua a discutere, anche sul piano politico tra governo e regioni, su quella che sarà – se mai prenderà il via – la stagione sciistica quest’anno. Da un lato c’è chi preme per la riapertura degli impianti, ritenuti fondamentali per l’indotto di molte destinazioni, dall’altro chi preferirebbe una via più prudente e magari rimandare tutto al futuro.
Non possiamo dire cosa potrebbe succedere in caso di una riapertura e tutto dipenderebbe da quali regole e condizioni, ma una cosa è certa: tutti abbiamo ancora bene impresse le immagini della ressa sulle piste da sci della scorsa primavera o delle cabine affollate di alcune settimane fa. Imprudenze che ci sono costate care in termini di diffusione dei contagi, nei territori di montagna e non solo.
D’altro canto l’economia locale è in sofferenza, la stagione estiva non è stata semplice, seppur in molte località si sia rivelata poi meno peggio del previsto. Che cosa fare? Se lo chiedono gli amministratori a tutti i livelli e gli operatori del settore, così come gli amanti della montagna e dello sci da discesa.
Sicuramente le soluzioni alternative per sostenere l’economia di montagna esistono e un ruolo importante in questo lo svolgono i visitatori e più in generale coloro che la frequentano, sperando che si possa tornare presto a farlo.
Certamente, la cultura e i valori del turismo “slow”, che negli ultimi anni sta prendendo piede anche nel nostro paese, ci portano a pensare a un modello di sviluppo diverso, più attento al rispetto dell’ambiente, all’utilizzo delle risorse e alla valorizzazione delle specificità dei territori. Per molti versi purtroppo lo sci, inteso come lo è oggi, è lontano da questi concetti. Il cambiamento – può sembrare una rivoluzione – non avverrà certo in una stagione ma a chiederci di provare nuove vie è anche la montagna stessa, secondo alcuni esperti il rifugio del futuro.
Concretamente? L’escursionismo, lo sport, la mobilità alternativa, la fruizione più attenta dei luoghi: di spunti il “turismo lento” ne può dare moltissimi: quello più semplice è sostenere l’economia concretamente circolare (comprare dai produttori locali, che tra l’altro offrono prodotti di altissima qualità), scegliere i ristoratori, i rifugi, le piccole soluzioni di ospitalità. Ma anche il dialogo: ascoltare i piccoli commercianti, aiutare a riscoprire e valorizzare le tradizioni. A livello amministrativo la scelta di recuperare percorsi e ripristinare sentieri e cammini, da tempo sta portando effetti virtuosi. Molte località in questo nuovo paradigma sono già entrate, offrendo soluzioni diverse per chi vuole vivere la montagna d’estate e d’inverno, dal benessere (dagli impianti termali alla “montagnaterapia” del Cai) al divertimento a misura di famiglia, fino alle proposte a stretto contatto con la natura come le ciaspolate (leggi qui) o le uscite in notturna sulla neve.
Le microrealtà montane che hanno trovato soluzioni di business alternative e comunque sostenibili esistono (tra mille possibili esempi qui, questo parla di un tema attualissimo: lo smartworking). Abbastanza per coprire i mancati introiti degli impianti chiusi? Forse no o comunque non ora, ma forse, se le buone pratiche agiranno da moltiplicatore, alla fine qualcosa si muoverà.
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