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Stimati 70 miliardi di crediti deteriorati nel dopo pandemia. Le banche “mettono fieno in cascina”

Gli esperti di Banca d'Italia, Abi e PwC sono intervenuti al webinar organizzato dall'università dell'Insubria per tratteggiare gli scenari post Covid. "L'uscita dalle misure emergenziali dovrà essere graduale"

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Nessuno ha la sfera di cristallo, né gli accademici, né gli economisti sul campo e tantomeno i banchieri. Nonostante questa incertezza trasversale, è importante iniziare a immaginare i possibili scenari del dopo Covid e a come reagiranno le banche, che si ritroveranno in pancia una quota di crediti deteriorati, i cosiddetti Npl (non performing loans), che a loro volta avranno un impatto sulle politiche di credito alle imprese con effetti immediati su quelle meno capitalizzate.

Il webinar dal titolo «Covid, banche e piccole e medie imprese », organizzato dal Criel (Centro di ricerca sull’internazionalizzazione delle economie locali) dell’università dell’Insubria e coordinato da Rossella Locatelli, è andato al cuore del problema. A mettere i paletti a una tema delicatissimo e strategico è stato Andrea Uselli, professore di Economia degli intermediari finanziari e referente del progetto Intecofin-Insubria («La piazza finanziaria ticinese e l’economia del nord Italia. Stimoli all’integrazione territoriale in ottica transfrontaliera»), di cui l’università dell’Insubria è capofila per parte italiana, attraverso il Criel.

AUMENTATI I DEPOSITI SUI CONTI CORRENTI

Un primo dato di cui tener conto è stato sottolineato da Giorgio Gobbi, capo del Servizio stabilità finanziaria della Banca d’Italia. Non solo sono cresciuti i depositi sui conti correnti dei cittadini italiani ma anche quelli delle imprese che in un anno sono aumentati di cento miliardi di euro. «Di questa crisi – ha spiegato Gobbi – lo stato patrimoniale delle imprese ne ha risentito molto poco perché sono aumentate le attività liquide in forma di deposito, mentre il conto economico ha avuto un tracollo per il calo delle vendite e dei ricavi».

Ciò però non significa che la strada verso la ripartenza sia spianata perché lo stato d’incertezza generale, in cui si sta vivendo, è ancora molto alto. Se infatti fino a qualche mese fa si pensava che all’inizio del 2021 lo scenario rispetto alla pandemia sarebbe notevolmente migliorato, oggi dobbiamo prendere atto che non siamo vicini a una soluzione e ci vorrà ancora del tempo per parlare di post pandemia. E dover mantenere a lungo le misure straordinarie per l’economia rischia di innescare un problema di sostenibilità del sistema stesso.

Quindi occorre pensare all’eredità della pandemia sperando che non duri troppo a lungo. «Avremo livelli di debito pubblico e privato più elevati che in passato – ha precisato il funzionario della Banca d’Italia – con una forte eterogeneità sia a livello settoriale che di impresa soprattuto nelle prospettive di crescita e non appena ci sarà un’uscita dall’economia emergenziale si avrà una crescita degli Npl».

Ci sono però alcune fattori che mitigano l’onere aggiuntivo del debito tra cui l’accelerazione del reddito privato totale in percentuale sul Pil, la liquidità delle imprese e bassi oneri finanziari sul margine operativo lordo per via dei tassi di interesse che sono ai minimi.

LE BANCHE METTONO FIENO IN CASCINA

L’attesa ragionevole di un aumento degli Npl nel dopo pandemia ha fatto sì che gli istituti di credito già da tempo abbiano aumentato gli accantonamenti. «Le banche mettono fieno in cascina» ha detto Gobbi. In questo modo e grazie alle politiche di sostegno all’economia, gli istituti di credito eviteranno di stringere i cordoni della borsa durante la ripartenza ed evitare così un un ciclo di restrizione finanziaria e di potenziale recessione. «È importante che l’uscita da queste politiche sia selettiva e graduale – ha ribadito il funzionario di Banca d’Italia – non si può chiudere tutto da un giorno all’altro. Un punto fondamentale per l’uso delle risorse europee è sostenere e incentivare la crescita per la sostenibilità del debito, sia privato che pubblico».

Il messaggio è molto chiaro: se l’Italia non avrà prospettive robuste di crescita, i mercati chiederanno premi a rischio sul nostro debito e a catena sul costo del debito delle banche e delle imprese. La questione posta da Gobbi sul Recovery plan è tutt’altro che una questione accademica ma una prospettiva reale perché un’uscita più lenta dalla crisi pandemica rispetto agli altri paesi europei influirà sul giudizio degli investitori che non riterranno la crescita adeguata a sostenere il grande debito italiano.

IL MERCATO DEGLI NPL

Per facilitare la crescita non bisogna solo controllare i flussi di Npl in entrata ma anche la gestione di quelli in uscita. L’Italia si è distinta per aver creato un mercato dei crediti deteriorati, con flussi di uscita ingenti anche nell’anno della pandemia. Su questa partita ci sono però dei punti di domanda importanti. Nella maggior parte dei casi i crediti non performanti vengono dismessi a prezzi ampiamente svalutati, cioè non dettati da un equilibrio di mercato o, per dirla con le parole della professoressa Locatelli, caratterizzati «da un mercato del compratore».

Lo scenario del dopo pandemia per le pmi è dunque condizionato da molti fattori, compreso quello dei crediti deteriorati e quello dei crediti «non decotti» che rappresenta un altro problema nella valutazione complessiva dell’impresa. «Sull’aspetto finanziario e sulla patrimonializzazione delle pmi – ha rimarcato Locatelli – c’è un problema di tempi, non dobbiamo aspettare perché sono misure urgenti».

IL SISTEMA PAESE

Secondo Gianfranco Torriero, vice direttore generale di Abi, in Italia all’incertezza generale dell’uscita dalla pandemia si somma l’assenza di un macro programma in termini di investimenti. Inoltre rispetto alle tante riforme annunciate non ci sono termini certi per l’entrata in vigore delle stesse.

«In tema di banche tutti questi elementi di indeterminatezza incidono sulla redditività – ha detto Torriero – L’andamento degli interessi rimarrà negativo fino al 2025 e lo slittamento ulteriore dei tassi negativi, se da una parte attenuano le pressioni sul costo del debito pubblico, dall’altra mettono sotto pressione la marginalità degli istituti di credito».

Nel dopo pandemia il tema della certezza delle regole sarà determinante. E anche se negli ultimi 5 anni si sono fatti dei progressi importanti, la crisi causata dal coronavirus rischia di vanificarli. «Nel 2014 avevamo un indicatore della durata media prevedibile dei fallimenti pari a 9 anni – ha spiegato il vice direttore di Abi-. Nel 2019 avevamo abbattuto quella durata a 5 anni e mezzo. Nel 2020 siamo risaliti al 7%».

Segnali di miglioramento ma ancora lontani dagli standard degli altri paesi europei. «La sofferenza è rimasta per molto tempo nella pancia delle banche – ha continuato Torriero – e per un buon 50% questa situazione è imputabile alla durata della procedure di escussione delle garanzie. Sono consapevole che è un problema che non si risolve in un giorno, ma esistono norme che sono decontestualizzate rispetto al periodo attuale e che in qualche modo contrastano quelle azioni di politica economica e monetaria rivolte a quelle imprese che sono in difficoltà per motivi esogeni, posizioni che vanno gestite perché possono ritornare solvibili se assistite in modo adeguato».

RIVEDERE IL CLASSICO PARADIGMA DEL MERITO CREDITIZIO

È l’imprevedibilità degli scenari futuri a preoccupare gli esperti intervenuti al webinar dell’Insubria. Una cosa è certa: la complessità del contesto è destinata ad avere impatti significativi sugli attivi delle banche che saranno chiamate da una parte a contenere gli Npl e dall’altra a sostenere le imprese meritevoli di credito.

«La fine delle moratorie e la cessazione delle garanzie statali porterà a delle contrazioni delle erogazioni alle imprese – ha spiegato Pierfrancesco Anglani di Price Waterhouse & Coopers -. Se questo momento coinciderà con il momento più alto del fabbisogno delle imprese potrebbe essere un grande problema. Quindi il rientro dovrà essere graduale». PwC ha stimato che nei prossimi diciotto mesi gli Npl potrebbero incrementarsi di 70 miliardi di euro, un incremento che determinerà assorbimento di capitali per accantonamento, si calcola almeno 40 miliardi di euro tra il 2021 e il 2025.

Con queste prospettive tutti i processi di credito saranno interessati da cambiamenti e modificazioni per assicurare delle prassi adeguate alla gestione del rischio. «Ci sarà un’evoluzione delle politiche di erogazione – ha concluso Anglani -. Serviranno una corretta classificazione e un’adeguata valutazione delle esposizioni, l’utilizzo di sistemi evoluti di monitoraggio delle performance dei crediti e una gestione degli Npl con identificazione dei clienti Utp (Unlikely to Pay, improbabile che paghi, ndr) meritevoli di supporto e quelli invece che saranno oggetto di recupero o cessione. Per sostenere le pmi ad elevato potenziale i processi di selezione della clientela saranno una priorità per il futuro. Ecco perché è fondamentale che le banche rivedano il tradizionale paradigma di valutazione del merito creditizio».

Pubblicato il 28 Gennaio 2021
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