“Nascere e rinascere al Del Ponte”: il grazie di una neo mamma salvata all’ospedale varesino
Una complicazione gravissima ha messo a rischio la sua vita. Dopo una lunga convalescenza, vuole ringraziare chi le ha permesso di nascere come mamma ma anche rinascere come donna, moglie e figlia
Riceviamo e pubblichiamo la lettera scritta da una donna che dopo aver partorito la sua bimba ha dovuto affrontare gravi complicanze che l’hanno costretta a una lunga e travagliata permanenza in ospedale
Dopo una gravidanza trascorsa serenamente, pur con tutte le limitazioni e restrizioni del primolockdown, mia figlia è nata il 18 settembre scorso presso l’Ospedale “Filippo del Ponte” di Varese.
A causa di una complicazione post partum gravissima, le cui proporzioni sono state definite inaudite dalla stessa équipe medica e che ha fatto fortemente temere per la mia vita, ho potuto stringerla tra le braccia solo diversi giorni dopo la sua nascita; nelle settimane successive al parto, per un’ulteriore problematica direttamente conseguente alla prima, ho dovuto subire un nuovo intervento sempre al “Del Ponte”, una lunga degenza ed una ancor più lunga e faticosa convalescenza.
Oggi, giunta finalmente alla conclusione di un percorso tortuoso che mai avrei immaginato potesse caratterizzare e interferire con i miei primi mesi insieme alla mia bambina, desidero tramite Varesenews esprimere un pensiero di profonda gratitudine verso un’eccellenza sanitaria del nostro territorio che certamente non ha bisogno del conforto delle mie parole per confermarsi tale ma dei cui operatori voglio sottolineare la competenza, la disponibilità e una dote che è divenuta, a mio giudizio, cosa rara, anche considerando lo scarso uso comune della parola che la esprime: la premura.
Verrebbe da pensare che sia stata l’eccezionalità del mio caso ad aver comportato una simile attenzione nei miei riguardi, ma i tanti contatti e confronti che ho avuto in questi ultimi mesi con molte donne che hanno partorito al “Del Ponte” o che lì sono state sottoposte ad interventi di chirurgia ginecologica mi hanno confermato che la presa in carico della paziente non conosce variabili di gravità della sua situazione.
Nei nomi che citerò desidero comprendere, idealmente, i volti e le azioni di tutti coloro i quali (e sono stati tanti) si sono avvicendati nelle cure che mi sono state rivolte nel corso dei miei ricoveri.
Il mio sentito grazie va, in primis, al Professor Fabio Ghezzi, persona dal carisma umano e professionale straordinari: senza di lui e la sua équipe oggi mia figlia non godrebbe della presenza di una madre accanto a sé; grazie alle Dott.sse Maddalena Fasola e Barbara Lischetti e alle ostetriche Campello e Falcone.
Dell’équipe del Professor Ghezzi fanno parte anche dei giovanissimi medici il cui entusiasmo e la cui preparazione mi hanno sostenuta nei miei lunghi giorni in ospedale, con le loro frequenti visite nella mia stanza, anche solo per chiedermi come io mi sentissi: tra loro, le Dr.sse Bordi, Cimmino e Morosi, il Dr. Lembo e il Dr. Dri.
Non posso dimenticare la sollecitudine di medici e infermieri della Terapia Subintensiva del “Circolo”, dove ho trascorso alcuni giorni, mentre in Neonatologia l’équipe si prendeva amorevolmente cura di mia figlia. Una volta trasferita al “Del Ponte”, la Dr.ssa Bolis ha ascoltato e trattato con delicatezza le mie ansie e le sofferenze interiori derivate dalla mia condizione, forse anche più brucianti e intense di quelle fisiche.
Ma un ospedale che funziona non si regge sui soli medici, la cui competenza e il cui lavoro vengono quotidianamente supportati da quello di infermieri e infermiere, ostetriche e ostetrici, OSS e anche dal personale addetto alle pulizie, in una concreta collaborazione e in una unità di intenti che mi hanno fatto sentire non semplicemente curata, ma accudita, nella comune fragilità di chi è ricoverato.
Dire che quando viene al mondo un bambino nasce anche una madre è una verità tanto limpida quanto incontrovertibile; nel mio caso, alla mia nascita come mamma è seguita una rinascita come donna, come moglie, come figlia, come persona che è stata restituita ai propri cari, alla propria quotidianità e a consuetudini di vita che mai, prima di oggi, mi erano sembrate così preziose e nient’affatto scontate.
Io, che con le parole lavoro da sempre, le ho ritrovate solo a distanza di settimane e ho voluto condividerle tramite Varesenews con la speranza che esprimano, in qualche modo, il sentire comune di chiunque abbia dovuto rivolgersi, o meglio, affidarsi all’équipe del “Del Ponte” e per infondere, se possibile, coraggio e soprattutto fiducia a chi lo dovrà fare in futuro.
L.C.
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