Il violino dimenticato
di Olga Riva Rovaglio
“Mancano le lamine di abete rosso”, la matita di Luigi si blocca a metà della conferma d’ordine. Il ragazzo delle consegne sospira “la tempesta Vaia ha spazzato via decine di ettari di bosco in Val di Fiemme. Ci vorranno settimane perché la legna arrivi”. Ma Luigi non lo ascolta più.
Izumi era entrata nella bottega il giorno prima. In città Luigi era noto per l’estrema cura dedicata a ogni strumento, paragonabile solo al suo carattere schivo. Era un uomo dal piglio deciso, in particolare quando l’estro creativo lo invadeva e una scintilla di pazzia gli balenava negli occhi. Trasalì nel vedere i tratti esotici e le labbra un po’ imbronciate della giovane. Dalla borsa di cuoio aveva sfilato alcuni spartiti e aveva eseguito l’Ave Maria di Schubert, con un suono trasparente, quasi liquido. Izumi gli aveva chiesto di realizzare un violino su misura per lei e si era proposta di partecipare per il laboratorio di Luigi al Concorso Triennale Internazionale degli Strumenti ad Arco “Antonio Stradivari”, l’Olimpiade della Liuteria. Luigi accettò, quel liquido si era fatto strada nella sua naturale diffidenza.
Data la scarsità di abete rosso,usato per i piani armonici, sceglie un legno più leggero, adatto a una ragazza esile come Izumi e studia antiche ricette di vernici. Solo due mesi e la competizione inizierà. Lavora duramente e, a una settimana dalla gara, l’opera è terminata.
Di Izumi, però, nessuna traccia. Dal loro primo incontro, non l’ha più rivista. La cerca al conservatorio, ma non risulta tra le iscritte. Prova allora nella biblioteca della scuola e consulta gli annuari dei diplomati. Ed ecco il suo il volto comparire tra le pagine consunte. Sotto la foto scorge incredulo l’anno dello scatto, 1978. Scopre poi che la ragazza era rimasta vittima di un incidente d’auto la notte precedente al concorso di quell’anno, a cui avrebbe dovuto partecipare.
La sera del concerto è arrivata, il salone si popola di abiti da sera scintillanti. Luigi ha un sussulto quando le note dell’Ave Maria di Schubert fendono la platea, e al posto della musicista ingaggiata all’ultimo, appare Izumi. La pelle candida, gli occhi socchiusi, la testa reclinata sulla mentoniera. Per tutta la durata della canzone lei è lì, dopo tanto tempo, avvolta dalle luci del palco. La sua voce danza nell’aria, libera, levigata in ogni dettaglio dalla lima di Luigi. Poi, l’ultimo suono si spegne, e nel locale riecheggia il tonfo del violino, privato del suo sostegno.
Racconto di Olga Riva Rovaglio, foto di Tiziana “Titi” Barbaro
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.