“Lavoratori dei trasporti sono essenziali, ma per la Regione non prioritari per il vaccino”
La protesta dei sindacati Cgil-Cisl-Uil dei trasporti, dopo che Regione Lombardia ha deciso di rivedere i criteri nazionali sul piano vaccinale
Le difficoltà del piano vaccinale impongono di rivedere le categorie prioritarie, ma la mossa di Regione Lombardia di rivedere i criteri a livello lombardo provoca anche la reazione dei lavoratori dei trasporti. Considerati lavoratori essenziali, ma non inseriti tra le categorie a cui è destinato il vaccino in questa fase.
«I criteri nazionali privilegiavano i soggetti deboli o più esposti per poi passare alle vaccinazioni di massa sulle quali la competenza ricadeva sulle regioni. Regione Lombardia ha unilateralmente deciso che alcune figure professionali dovessero precedere altre rompendo ancora una volta un’omogeneità di criteri nazionali e conseguentemente innescando una competizione tra lavoratori e cittadini» dicono i segretari delle sigle dei trasporti di Cgil, Cisl e Uil.
«Avremmo preferito e continuiamo a chiedere un’omogeneità nazionale nei criteri e nella modalità della campagna vaccinale perché anche questa priorità per tutto il Paese non diventi causa di ulteriori disuguaglianze e ingiustizie», premettono i sindacati.
«Se Regione Lombardia intende proseguire in un’altra direzione chiediamo che chiarisca i criteri attraverso i quali i lavoratori dei trasporti sono stati considerati essenziali durante il lockdown e lungo i momenti più critici della pandemia e oggi non sono considerati tra i lavoratori più esposti a cui somministrare prioritariamente il vaccino: non chiediamo privilegi ma pretendiamo la necessaria chiarezza sui criteri di scelta perché, senza questa, non si potrà mai parlare di giustizia e di rispetto nei confronti dei lavoratori».
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«A questo si aggiunga che apprendiamo dalla stampa di un orientamento di Regione Lombardia ad affidare alle aziende la Campagna vaccinale, una scelta che se compiuta amplificherebbe ulteriormente le disuguaglianze fra occupati e non e fra lavoratori delle aziende più grandi e più strutturate e quelle più piccole e più fragili».
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