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Siate tenaci e sognatori: il rettore dell’Università dell’Insubria intervistato dagli studenti

Il desiderio di sentirsi utile, la perseveranza e una sfida sempre davanti a sé: il massimo rappresentante dell’ateneo di Varese e Como risponde a venticinque domande tra pubblico e privato, tra pandemia e ricordi giovanili, in un confronto con i giovani "apprendisti" di giornalismo

angelo tagliabue

Pubblichiamo l’intervista ad Angelo Tagliabue, terzo rettore dell’Università dell’Insubria, a cura degli studenti del seminario di Scrittura giornalistica guidati dalla loro docente Laura Balduzzi. Un incontro che si è tenuto il 17 marzo online, con quasi cento partecipanti, per conoscere meglio il punto di riferimento dell’ateneo, in questo periodo così complesso per il mondo dell’istruzione e della ricerca.

Medico odontoiatra, milanese, 63 anni, in carica dal 2019, il «magnifico» rettore Angelo Tagliabue ha risposto a 26 domande tra pubblico e privato:

Da medico che cosa pensa di come sta evolvendo la situazione vaccini? Avrebbe fatto qualcosa diversamente?

«Sono stato uno tra i primi a vaccinarsi, la scelta deve andare necessariamente in quella direzione, bisogna fidarsi. Non avrei fatto assolutamente nulla di diverso perché è una situazione che bisogna monitorare giorno per giorno. Si impara sul campo: è una medicina di osservazione».

Durante il periodo Covid le iscrizioni all’Insubria sono diminuite o aumentate?

«Sono lievemente aumentate, anche grazie allo sforzo dell’amministrazione che ha saputo prevenire uno “shock” nel periodo della pandemia rispetto all’andamento storico delle immatricolazioni».

angelo tagliabue

Ha da sempre voluto fare il medico?

«Ho scelto la carriera medica un po’ per scommessa, e per sfidare me stesso. Volevo esaudire il mio desiderio, forse anche presunzione, di sentirmi utile: questa decisione mi ha permesso di fare un percorso ricco di soddisfazioni e se tornassi indietro lo rifarei».

Lei esistenzialmente è riuscito ad adattarsi a questo momento di pandemia?

«Da ogni esperienza, anche quelle da più negative, si traggono degli insegnamenti. È stato positivo relazionarmi in maniera diversa grazie alla tecnologia. Io sono per il rapporto umano, ma per esempio con le riunioni distanza ci abbiamo guadagnato anche in questione ambientale».

Come vede la didattica a distanza?

«È luci e ombre, dipende come la fai. Ci possono essere malfunzionamenti e non è la stessa cosa avere alunni in classe e viceversa. È una questione di necessità a cui si spera di ricorrere il meno possibile».

Padiglione Seppilli, a Varese, oggetto di ristrutturazione. Prossimi lavori che interesseranno l’ateneo?

«Al Seppilli ci studiavo anche io, lo ricordo con affetto. Il nostro obiettivo è quello di dare agli studenti le migliori condizioni possibili per vivere i loro anni di università. E a questo puntiamo nelle nostre scelte: da una parte, naturalmente, investiamo negli strumenti per la ricerca scientifica e la didattica, dall’altra nell’accoglienza per i nostri studenti».

intervista rettore

Cosa ne pensa delle università a numero chiuso?

«Più che di numero chiuso parlerei di un numero programmato, che varia in maniera dinamica in base alle esigenze nazionali. Sicuramente attraverso i test vengono selezionati gli studenti più preparati e motivati. A me piacciono i corsi che richiedono impegno all’ingresso e trovo che questo sia un modo per contenere il tasso di abbandono. Bisogna crederci fino alla fine».

Durante la pandemia, quale è stato il momento in cui si è accorto che la situazione sarebbe stata più grave del previsto?

«Me ne sono reso conto subito. Ne ho discusso a lungo insieme ai rettori delle università lombarde sul nostro gruppo Whatsapp e domenica 23 febbraio abbiamo deciso la chiusura a partire dal giorno dopo. Una scelta rischiosa, fatta senza nessuna indicazione da parte del Ministero: abbiamo rischiato la denuncia per procurato allarme e interruzione di pubblico servizio. È stato un momento drammatico, e nei giorni successivi il suono continuo delle ambulanze ha reso la situazione ancora più difficile da sostenere. Nessuno sarebbe stato in grado di prevedere qualcosa del genere, la natura ci ha colto di sorpresa».

Un personaggio a cui si ispira?

«Sono un lettore appassionato delle biografie dei protagonisti del passato. Sono convinto che siano parecchie le cose da imparare dalla storia: da Giulio Cesare a Winston Churchill, trovo che le vicende dei grandi personaggi siano ancora molto attuali».

Prima di esserne il rettore lei è stato anche uno studente dell’Insubria: qual è il suo ricordo più bello?

«Prima di iscrivermi all’Insubria frequentavo l’Università Statale di Milano. Sono venuto a Varese consigliato da un amico e sono rimasto colpito dalla struttura, perché mi ricordava molto il liceo. Ciò che mi ha spinto a cambiare percorso è sicuramente la cordialità e l’umanità con le quali sono stato accolto: non mi sono mai sentito solo un numero di serie».

Quali sono i motivi che l’hanno spinta a candidarsi come rettore?

«Sono stato direttore del dipartimento di Medicina per tredici anni ed è stata un’esperienza formativa. Mi chiedevano già da tempo di diventare rettore e ho colto l’occasione. È stata una sfida e a me piacciono le sfide, soprattutto le sfide con me stesso, che sono le peggiori. Spesso e volentieri si perde quando si osa, ma se rimani nella tua comfort zone non cresci, e invece anche perdendo si impara qualcosa. Per questo vi consiglio di accettare sempre nuove sfide anche se il traguardo vi sembra lontano. Io oggi faccio il rettore, e spero di farlo bene, ma sono certo che al termine del mandato mi attenderà una sfida nuova e diversa».

Vista la crisi sociale e economica, lei pensa che l’università abbia fatto il possibile per venire incontro alle problematiche degli studenti che non hanno potuto usufruire delle strutture e dei i servizi?

«Siamo aperti a tutti i suggerimenti e le richieste. Abbiamo cercato di assicurare i servizi, anche a distanza. L’università in un momento di difficoltà deve dare strumenti, deve preparare ad affrontare un mondo diverso, investire su una realtà nuova, dare un’arma in più. Non è lo sconto che fa la differenza: è limitativo. La nostra scommessa è continuare a offrire una formazione che sia adeguata alle esigenze di mercato, nonostante le limitazioni della pandemia».

Come si pone l’ateneo nei confronti dell’ambiente?

«L’ateneo promuove una mobilità rispettosa dell’ambiente. Inoltre lo smartworking, durante la pandemia, ha consentito di lavorare e interagire anche a distanza senza recarsi di persona all’università. Altro capitolo importante è quello della riqualificazione delle aree, che consente il rispetto ambientale e storico dei nostri luoghi».

Cosa pensa di coloro che hanno deciso di non sottoporsi al vaccino come professori oppure medici?

«Io non posso obbligare le persone, in ambito medico dovrebbero allontanare chi non vuole vaccinarsi. Anche per i docenti spero nel dialogo e nella sensibilizzazione. Quello che ho fatto è ricordare a tutti l’importanza dell’adesione alla campagna vaccinale».

Qual è la sua giornata tipo? È cambiata rispetto a prima del Covid-19?

«La mia giornata tipo non ha subito troppe variazioni: mi alzo molto presto, tra le cinque e le sei del mattino, leggo il giornale, scrivo articoli scientifici, mi tengo informato. E poi inizio. In quanto rettore e medico sono venuto sempre a lavorare, anche nel periodo del lockdown».

Lei è uno sportivo?

«Non sono un competitivo, nonostante i traguardi raggiunti nella mia carriera professionale. Sono uno che ama il gioco di squadra, ma ho sempre fatto sport individuali senza ansia da risultato, senza stress».

Ci sono stati dei momenti in cui si è sentito particolarmente scoraggiato o in dubbio sulla scelta di diventare medico?

«Ci sono sempre gli alti e i bassi. Appena laureato avevo le idee confuse e non sapevo cosa scegliere. Odontoiatria non mi convinceva, ma poi ho capito che l’approccio giusto per me era quello della Medicina orale. Ho avuto delle sconfitte, mi è capitato di essere bocciato a qualche esame. L’importante è ripartire sempre dai propri errori per arrivare al risultato. Siate tenaci, perseverate nei vostri obiettivi e, anche se cercheranno di abbattervi, voi continuate».

Secondo lei riprendere gli studi per migliorare la propria formazione, pur non essendo più giovanissimi, ha un senso oggi oppure potrebbe essere percepito come una forzatura?

«La crescita culturale non ha età, anzi è risaputo che tenere in allenamento la mente sia salutare. Avere fame di conoscenza è sinonimo di intelligenza e al contempo essere curiosi aiuta l’apprendimento. Anche nella mia esperienza personale il rapporto con i giovani rappresenta uno stimolo a cui corrisponde un arricchimento: è un reciproco scambio».

Ad oggi ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato?

«C’è sempre molto da fare, non bisogna fermarsi mai. Anche se sono arrivato all’apice della mia carriera professionale, posso sempre fare di più e intraprendere nuove strade: questo mi fa sentire vivo. Il mio consiglio è quello di non fermarsi mai, di porsi sfide sempre nuove per non perdere lo spirito, perché tutto ciò che è conoscenza mantiene vivo l’essere umano».

Una domanda personale e diretta: lei è padre di famiglia?

«Non sono padre e questo è stato un mio grave errore a cui non posso rimediare. Probabilmente non mi sentivo all’altezza, mi sono focalizzato più sulla carriera pensando di non aver tempo per dei figli».

Da rettore e da medico, in questo anno le è mai capitato di perdere la speranza?

«È vero che la pandemia è disastrosa, certamente per il numero dei morti, per la paura che ci ha causato. È un nemico invisibile e l’insicurezza si è impadronita di noi ma non ci siamo arresi. Non ho mai perso la speranza, c’è una luce in fondo al tunnel».

Nel settembre 2020, all’indomani dell’omicidio di Don Roberto Malgesini a Como, abbiamo letto il suo appello social in difesa del valore dell’accoglienza. Non capita spesso che un rettore si esprima su questi temi: quanto conta il valore della solidarietà in ambito universitario?

«Nel mondo anglosassone per essere ammessi nei vari atenei bisogna sostenere dei colloqui e una delle condizioni che dà punteggio è portare avanti un’attività solidale verso il prossimo. Non voglio indagare su quanto accaduto nella mente dell’omicida di don Roberto Malgesini. Ma un accadimento, per quanto inspiegabile, non deve impedirci di dedicarci agli altri, perché senza umanità non c’è crescita».

Qual è stata la sfida più grande che abbia mai accettato fino ad ora?

«Pur venendo da una famiglia modesta ho deciso di fare il liceo e questa è stata una vera e propria scommessa. Mi trovavo davanti a un bivio: il lavoro, una scelta che per me allora sarebbe stata facile, oppure laurearmi, una scelta di vita. Stare al passo negli studi di Medicina è difficile, tanti lasciano ma io non mi potevo permettere di essere disoccupato. Questa è stata la mia più grande sfida».

In questo particolare momento storico in cui l’epidemia plasma il mercato del lavoro, ha senso seguire la propria vocazione nella scelta del percorso accademico?

«Una persona che ama ciò che fa certamente raggiungerà i suoi obiettivi. Seguire la propria vocazione è ciò che consiglio: bisogna crederci fermamente, anche nei periodi più difficili. D’altronde seguire la via più semplice a lungo andare non ripaga: cosa è più importante della soddisfazione morale? Credeteci, insistete! Fate ciò che amate e siate determinati. Credete in voi stessi e realizzate i vostri i sogni».

I neolaureati Insubria trovano una adeguata collocazione nel mondo del lavoro?

«La nostra università si è sempre distinta per l’attenzione ai bisogni dello studente e alle esigenze del territorio. E le statistiche presenti sul sito dell’ateneo inerenti all’inserimento dei nostri neolaureati nel mondo del lavoro parlano chiaro».

La responsabilità di essere definito «magnifico» e due aggettivi per descriversi.

«Non sono magnifico, è un termine che fa parte della tradizione. Mi giudico una persona pratica e perseverante nelle scelte. Ho grande forza di volontà, non mi sento un genio. Imparo da tutte le persone che incontro».

Intervista a cura di: Gli studenti e le studentesse dell’Università dell’Insubria (Scienze della Comunicazione) Gianmario Borghetti, Giuliano Ceruti, Simona Colombo, Giorgia Coulavaris, Andrea Daverio, Fabiano De Venuto, Clarita Di Lena, Francesco Firpo, Martina Fontana, Chiara Foscanio, Matteo Galli, Sara Giocolano, Samantha Grassi, Alessandro Guglielmi, Maria Indelicato, Riccardo Landoni, Jada Lodisci, Ugo Monestier, Arianna Morelli, Edoardo Neuroni, Sara Ongarato, Andrea Paloschi, Filomena Milena Pitassi, Gaia Sansottera, Rossella Toia (con la collaborazione di Jessica Capretti e Lisa Scardino)

Video a cura di: Jacopo Bernard, Michele Ronchi, Roberto Ungaro e Massimo Zanotto e Jacopo Bernard dell’agenzia B-Link

Pubblicato il 08 Aprile 2021
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