“Siamo pochi e sfiniti”. Il Primo Maggio a Varese è nel segno dei lavoratori della sanità
Tatiana Irmici, infermiera della terapia intensiva dell'ospedale di Circolo, ha aperto il dibattito pubblico organizzato da Cgil, Cisl e Uil al Salone Estense. "Rinnovare il contratto della sanità sarebbe stato un segnale di rispetto"
Oggi non è un Primo Maggio come tutti gli altri. Con oltre quattrocento morti sul lavoro, per lo più lavoratori del comparto sociosanitario, a causa del Coronavirus non si può certo parlare di festa, parola bandita anche dai manifesti di Cgil, Cisl e Uil che hanno preferito lo slogan “il futuro si cura con il lavoro“. E a proposito di cura, ad aprire le celebrazioni nel Salone Estense del Comune è stata la testimonianza dell’infermiera Tatiana Irmici che lavora nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Circolo di Varese.
Le sue parole semplici, dirette e cariche di verità hanno commosso tutti. Questa lavoratrice che si appresta ad affrontare la quarta ondata del Covid-19, con la consapevolezza di chi conosce le debolezze del sistema sanitario italiano, ha richiamato tutti a una maggiore coesione. «Penso ai miei colleghi, in particolare a quelli del pronto soccorso che sono stremati – ha detto Tatiana – e alla terapia intensiva che è ancora piena di malati e a noi lavoratori che siamo pochi e usurati e da un anno non conosciamo la parola ferie. È difficile far capire a chi sta fuori cosa vuol dire lavorare con tre paia di guanti e fare manovre che richiedono una sensibilità estrema e sentire il peso sulle spalle del camice fradicio di sudore quando esci dalla zona sporca. Forse per affrontare tutta questa fatica e dolore c’era un altro modo».
Per Tatiana quell’altro modo era il rinnovo del contratto dei lavoratori del servizio sanitario nazionale ormai scaduto da tre anni. «Rinnovarlo era un segnale di rispetto – ha aggiunto la lavoratrice – perché noi amiamo il nostro lavoro. E io oggi alle quattordici sarò lì nel reparto con i miei colleghi per augurargli buon Primo Maggio».
La vicinanza alle lavoratrici e ai lavoratori della sanità è stata espressa anche dal sindaco Davide Galimberti che ha fatto gli onori di casa, ricordando il sacrificio dei morti sul lavoro per Covid.
«Non esiste un buon lavoro e non esistono diritti senza contratto» ha detto Stefania Filetti, segretaria provinciale della Cgil, e la via non può essere che quella del rinnovo del contratto collettivo nazionale. «Subito dopo la prima ondata – ha ricordato la sindacalista – si era parlato della necessità di un accordo quadro per la sanità, esigenza che ha ceduto il passo alle dinamiche stucchevoli della politica e alle polemiche tra governo e giunta regionale. E l’accordo quadro ancora non c’è».
La pressione esercitata dal sindacato per sbloccare la situazione c’è stata con scioperi, almeno tre, e presidi nei luoghi di lavoro, cercando sempre di non compromettere l’operatività degli ospedali e dei luoghi di cura. «La messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza – ha spiegato Antonio Massafra, segretario provinciale della Uil – dovrebbe portare a investimenti nella sanità per un totale di 15,6 miliardi di euro. Vorrei però ricordare che negli anni il servizio sanitario nazionale ha subito tagli per 20 miliardi di euro. Quindi il tema oggi è anche quello dell’accesso alle cure».
Quando i soldi del Pnrr arriveranno sui territori sarà dunque ancora la contrattazione a fare la differenza. «Saranno molte le persone che nella ripresa rimarranno ai blocchi di partenza – ha concluso Daniele Magon segretario provinciale della Cisl dei Laghi -. Non saremo in grado di far ripartire tutti ed è per questo che ritornare a contrattare potrà dare impulso e sviluppo a questi territori. Siamo in una fase di declino industriale e la provincia di Varese non è più ricca come un tempo. Dunque quando si parla di ripartenza bisogna tener conto di questo quadro».
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