Ingegnere ambientale, “taxista” di semi e riproduttore seriale: scopriamo i mille volti del cinghiale
Partecipate al questionario e scoprite come da animale rarissimo è divenuto specie ampiamente diffusa sul territorio nazionale: un quadro generale degli effetti positivi e negativi della loro presenza sull’ambiente
Spesso il cinghiale (Sus scrofa) si trova al centro dell’attenzione a causa della sua larga diffusione, del suo valore venatorio, della sua importanza economica o per i danni causati all’agricoltura e agli ecosistemi naturali. Di recente è sotto i riflettori dei mass media a causa di alcuni esemplari trovati deceduti nel nord Italia e risultati in seguito positivi alla peste suina africana, che sta generando notevoli preoccupazioni fra allevatori ed istituzioni e a causa di cui sono state sospese le attività venatorie (e non solo) nelle aree interessate (Ve ne abbiamo parlato qui: “La peste suina africana nei cinghiali: perché la Lombardia teme una pandemia tra gli allevamenti”). Non tutti però sanno quanto la sua presenza possa avere effetti variegati sull’ambiente: da “corsia preferenziale” per la dispersione dei semi a portata preferita dei grandi carnivori.
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Concause responsabili dell’espansione del cinghiale in Italia
Il cinghiale rappresenta la specie selvatica da cui si sono originate, per domesticazione e selezione artificiale, gran parte delle razze di maiali domestici e delle popolazioni di maiali inselvatichiti. Per una caccia intensa e prolungata dovuta alle sue carni, in Italia il cinghiale ha subito un grave declino numerico tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, quando la sua presenza era molto frammentata sul territorio e la specie era estinta su quasi tutta la catena appenninica, tranne che nella porzione meridionale e sulle Alpi. Dallo sfiorare il rischio di estinzione, negli ultimi 30 anni la popolazione di cinghiali in Italia è aumentata sistematicamente in termini di dimensioni e di distribuzione. Ma cosa è successo in questo lasso di tempo?
A determinare questa crescita hanno concorso alcuni dei fattori responsabili dell’esplosione demografica del cinghiale anche nel resto d’Europa. Il recupero del bosco in zone precedentemente utilizzate per l’agricoltura e la pastorizia, il progressivo spopolamento di vaste aree di media montagna, sia a livello alpino che, soprattutto, appenninico. Questo, unitamente alla diminuzione della persecuzione diretta e all’ingresso naturale di esemplari dalla Francia e dai Balcani, ha contribuito in buona misura a determinare il fenomeno. Dall’altra parte il fattore antropico, che con immissioni abusive e non di rado effettuate con esemplari alloctoni (provenienti da Francia, Lussemburgo, Europa orientale, Spagna ma anche dall’Italia centro-meridionale), ibridazioni con maiali domestici e la caccia, ha alterato la struttura delle popolazioni del cinghiale e modificato la genetica degli individui, favorendo sia la riproduzione che la diffusione sul territorio.
Ruolo ecologico e impatto della presenza del cinghiale
E dal punto di vista ecologico che posizione occupa? Il cinghiale è un “ingegnere ecosistemico”, una specie che direttamente o indirettamente modula la disponibilità delle risorse per altre specie, causando dei cambiamenti fisici nell’ecosistema, e di conseguenza modificando gli habitat. Questo per via della sua alimentazione.
Il cinghiale è infatti un animale onnivoro, ma i vegetali rappresentano la principale componente dei suoi pasti: bulbi, radici, parti aeree e semi costituiscono il 90-99% della dieta. L’attività di scavo o rooting, che mette in pratica con il suo grande e robusto muso per la ricerca di cibo, ne rimuove lo strato superficiale e sotterraneo, con impatto sulla biodiversità vegetale. La sua dieta può avere un effetto negativo anche a causa del consumo diretto di semi e il danneggiamento dei germogli e delle piantine. In alcuni casi, soprattutto se il numero di cinghiali non è troppo elevato, il loro impatto può diventare positivo perché in grado di aumentare la sopravvivenza e la crescita di altri alberi, eliminando i competitori. Grazie al suo folto pelo e alle sue abitudini, la specie gioca un ruolo importante per la dispersione delle piante per trasporto dei semi diventando un vero “taxista” per molti vegetali.
La componente animale è una piccola frazione della dieta, ma è sempre presente. Non dimentichiamo che il cinghiale è una specie opportunista cioè capace di sfruttare le risorse disponibili e per questo sembrerebbe nutrirsi di altri animali vivi quando questi sono facili da prelevare, come uova di anfibi e uccelli che nidificano a terra o, se presenti, di carcasse e di rifiuti. Una delle principali conseguenze di popolazioni molto numerose è infatti la riduzione della biodiversità vegetale e animale per consumo diretto o danneggiamento indiretto.
In Europa inoltre, il cinghiale è la prima causa di danno al raccolto agricolo e il numero di danni ai campi coltivati è aumentato negli ultimi decenni: mais, patate, fagioli, piselli, cereali sono tra gli alimenti preferiti, in particolare in anni di scarsità di cibo naturale. Il cinghiale ricopre anche il ruolo di preda nella catena trofica, essendo infatti una delle principali risorse alimentari del lupo in Italia, ma anche della lince e dell’orso.
Questo eclettico suide svolge anche un ruolo non trascurabile nella diffusione di talune patologie. Dalla peste suina, di cui si parla molto in questi giorni, all’epatite E, è noto che i cinghiali possono essere vettori responsabili di diverse malattie al bestiame e alle persone. È stata infatti scientificamente dimostrata la correlazione tra intensità e persistenza delle malattie e l’abbondanza dei cinghiali. Oltre all’aspetto sanitario, la specie può essere un pericolo per l’uomo quando è presente in densità elevate nelle vicinanze di aree abitate, a causa degli impatti stradali che si possono verificare. Un dato purtroppo in aumento a causa della crescita delle popolazioni della specie in tutta Europa. La specie è molto adattabile, e può trovarsi in diversi tipi di habitat, che variano da ambienti semi aridi a paludi, foreste e praterie alpine.
A questa “plasticità” in termini di ecologici va ad aggiungersi l’enorme capacità riproduttiva che permette ai cinghiali di partorire in media 4-6 piccoli, con un massimo di 10-12, e di riprodursi anche più di una volta all’anno. Per questi motivi, la specie è stata elencata tra le 100 “World’s Worst Invaders” dal gruppo di specialisti sulle specie invasive della IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura). Ma anche dove il cinghiale è autoctono potrebbe essere ugualmente problematico per l’ambiente, l’agricoltura, l’economia e la salute anche umana se le densità diventano troppo alte.
Risulta quindi chiaro quanto il cinghiale sia una specie molto complessa e la cui presenza comporti numerose conseguenze. Come tutte le questioni ambientali, anche questa deve essere considerata nella sua interezza e nel contesto specifico, basandosi su studi e dati scientifici attendibili.
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