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I merli sfrattati

di Carlo Cavalli

Il racconto della domenica

Il merlo è un eccellente cantatore e quando chioccola ama arroccarsi verso la cima degli alberi , soprattutto per dominare dall’alto quella sorta di compiacimento che gli deriva dal verso ( non un metaverso, per l’amor del cielo) che si espande scandendo un “chacha- chacha- chacha”, forse sordo per i diseredati d’udito come me eppure progressivo e ritmato secondo i canoni del buon concerto.
Da un paio d’anni ho consolidato una passeriforme frequentazione con una maschio dalla livrea laccata nera da fare invidia a chi di invidia si nutre, qualunque colore gli capiti di criticare a prescindere, dai cobalti alla Monet a quei vermigli che mimano le vertigini della suggestione.
Monogamo per la vita, il mio amico passato alla storia per avere messo su famiglia grazie alla magia di un ininterrotto canto nuziale gorgheggiato da marzo ad agosto, vive a un tiro di schioppo dalla mia siepe di bosso, tendendo agguati ai vanitosi vermi che se la tirano, ovviamente stirandosi ad anello, spacciando tronfie panzane sul loro sottoregno di Eumetazoa dove prospera il ramo Bilateria.
Ma quando stamattina, proprio nel momento in cui il disco del sole si è messo a puntino ancheggiando il suo primo calore, ho percepito un “tchic-tchic-tcich” fra l’acuto e il disperato, dentro uno zirlare disincantato e impreparato, ho subito colto le vibrazioni di un allarme di pericolo.
E mentre mi affrettavo lungo il viottolo riarso da settanta giorni di infingardo seccume, già plasmavo l’incredulità di una orribile sorpresa, anticipata da un cupo “tcioc- tcioc” mischiato agli insoliti sibili quasi piallati dall’ansia “ssr-ssr-ssr”, dove le consonanti erano ferite già aperte.
Gli ontani rigogliosi si erano tramutati nella nottata da tregenda in tre ceppi mozzi, tre nanetti senza corpo e berrettone verde, tre rimembranze di orgoglio spappolato. E al maestoso salice bianco, sopravvissuto a un tiro di sasso, toccava il ruolo dell’imbarazzo, gestito alla carlona in una enfasi di solidarietà male espressa. Non saprei dirvi se il mio amico merlo stesse piangendo , ma certo è che il suo becco giallo giallo pareva un rostricino scolorito, un’unghia pronta a dileguarsi fra le scompigliate penne bruno nerastre della sua compagna ammutolita.
E neppure la ilare cantilena di un tordo tardo, flautata e mossa come un giullare che si sente in dovere di strappare un quarto di sorriso a un re morente, riusciva a smuovere la immobilità assoluta di una scena dove solo un barrito d’elefante avrebbe potuto rovesciare la porcheria di un crudele incantesimo.

Racconto (e foto) di Carlo Cavalli

TUTTI I RACCONTI DELLA DOMENICA

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Pubblicato il 06 Marzo 2022
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