“Vogliamo la pace”: lo dicono ad alta voce gli studenti di Dumenza in marcia contro la guerra
Tra di loro anche due bimbe ucraine, di 3 e 5 anni, da pochi giorni arrivate in Italia ed inserite presso l'istituto, e un ragazzo di 15: "Ci abbiamo messo 28 ore ad arrivare. Il mio papà è rimasto a Leopoli a combattere"
Un centinaio di bambini e ragazzi del plesso di Dumenza, oggi, venerdì 18 marzo, si sono messi in marcia per dire “no” alla guerra in corso in Ucraina.
Partiti dalla scuola hanno raggiunto in gruppo il parco del paese, il Centro Carà. Gli studenti, uno in fila all’altro, con cartelloni che chiedevano la pace, ad alta voce dicevano: “Cessate la guerra”. Tra di loro anche due bimbe ucraine, di 3 e 5 anni, da pochi giorni arrivate in Italia ed inserite presso l’istituto.
Chissà cosa avevano provato e vissuto i giorni prima di arrivare qui. E chissà cosa pensavano oggi, pochi giorni dopo il loro arrivo in Italia, guardando centinaia di bambini come loro che sventolavano la bandiera ucraina, per chiedere la pace. Costrette a scappare dalla loro terra natia, insieme alla famiglia, per approdare in un porto sicuro.
I loro occhi malinconici, di un azzurro celeste, erano a tratti inespressivi. Hanno accennato solo un sorriso, come a dire “Ora mi sento al sicuro”.
Giunti al Centro Carà e posizionati in semicerchio alcuni bambini dell’asilo hanno cantato una canzone, una ragazza delle medie ha letto una sua poesia contro la guerra e un altro gruppo di studenti ha girato tra i presenti pronunciando la parola pace.
Il professor Fabio Lucioli ha poi letto la poesia di Gianni Rodari “La luna di Kiev” e il sindaco, Corrado Nazario Moro, ha ricordato l’articolo 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Un momento di silenzio e poi il commovente intervento, tradotto dal signor Riva in italiano, da anni amico di una famiglia ucraina, di un ragazzo di quindici anni, anche lui appena arrivato in Italia: «Grazie popolo italiano. Io, i miei fratelli e la mia mamma ci abbiamo messo 28 ore ad arrivare. Il mio papà è rimasto a Leopoli a combattere, tutti i giorni ci sentiamo al telefono perché per fortuna funziona internet».
«L’Ucraina ha bisogno di tutto, a me hanno chiesto i giubbotti anti-proiettili ma costano troppo. Non vogliono armi, vogliono giubbotti per non essere feriti, per non morire», ha concluso il signor Riva.
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