Dalla Danimarca alla Turchia in pullman, la storia di Giulia da Angera
Tre mesi di viaggio per conoscere realtà differenti e imparare il lavoro di squadra. Un'avventura parte di un percorso di formazione in pedagogia alternativa
Molti studenti universitari si alzano alla mattina, prendono l’auto o i mezzi pubblici, raggiungono l’aula, si siedono e prendono appunti. C’è invece chi insieme ai suoi compagni sale a bordo di un grande scuolabus giallo trasformato in camper e parte per un viaggio di tre mesi: dalla Danimarca alla Turchia, ai confini dell’Europa.
È la storia di Giulia Tagini, una ragazza di Angera, che due anni fa ha deciso di fare i bagagli e trasferirsi in Danimarca per frequentare la Dns (nota anche come Tvind): una scuola di pedagogia alternativa. «Dopo il diploma – racconta Giulia – ho frequentato l’università, ma l’ambiente dell’ateneo non mi è piaciuto. Ho quindi deciso di trovare lavoro, ma la strada che avevo scelto non mi convinceva. È stato in quel periodo che, grazie a Internet e ai social, ho scoperto l’esistenza di questa scuola. Poco dopo ho deciso di mettermi in gioco e cominciare questa nuova esperienza».
La Tvind è una scuola privata danese. Tra gli obiettivi dell’istituto c’è soprattutto quello di formare nuovi docenti ed educatori attraverso l’insegnamento teorico ma anche attraverso tutta una serie di attività pratiche, che vanno dalla gestione in autonomia degli spazi del campus in cui studenti e insegnanti vivono insieme (compreso l’orto e gli animali da cui ricavare il cibo), a lunghi viaggi nel mondo e in Europa, il tutto finanziato grazie a un sistema di economia condivisa.
I corsi della Tvind durano quattro anni. Gli studenti possono scegliere di arrivare al campus un anno prima dell’inizio del loro percorso e utilizzare quel tempo per trovare un lavoro in Danimarca (anche all’interno della scuola), guadagnare i soldi necessari per la retta e sviluppare quelle competenze e quell’autonomia che spesso i giovani al termine delle superiori non hanno ancora. Caratteristiche che vengono messe subito alla prova il primo anno del corso. In questo periodo, infatti, studenti e educatori partono per un viaggio in camper di diversi mesi, attraverso l’Europa e (solitamente) verso l’Africa occidentale. L’obiettivo? Imparare il lavoro di squadra, conoscere luoghi diversi, incontrare persone nuove, parlarci e scoprire le loro opinioni sui temi più importanti. Il gruppo di Giulia ha completato il suo itinerario il 25 febbraio e insieme a due suoi compagni di viaggio ha fatto tappa in Italia tra marzo e aprile per far conoscere la sua esperienza.
Il viaggio
Dopo lunghi preparativi e tante incertezze per colpa della pandemia, l’avventura del gruppo di Giulia è cominciata il 29 novembre 2021. In totale, 10 studenti e due insegnanti sono saliti a bordo del grande pullman trasformato in camper e sono partiti. Destinazione Turchia. «Purtroppo – racconta Giulia insieme ai suoi due compagni di viaggio Anna Carolina Bertacchini e Ruslan Nugumanov – per colpa delle limitazioni legate al Covid non abbiamo potuto raggiungere l’Africa occidentale come avremmo voluto, e siamo dovuti restare entro i confini dell’Europa. Abbiamo scelto la Turchia proprio perché si trova a cavallo di due continenti: un ponte tra due realtà molto diverse da quelle a cui eravamo abituati».
Dalla Danimarca, il gruppo è passato prima in Germania, poi in Austria, Slovenia e Croazia. Qui la spedizione si è divisa, toccando Montenegro, Kossovo, Bosnia e Serbia, per poi ricongiungersi in Bulgaria e arrivare infine in Turchia. «Durante il viaggio – spiegano Giulia, Anna e Ruslan – ci siamo fermati in diverse località per svolgere delle “indagini”. Ogni volta sceglievamo un tema d’attualità, lasciavamo il bus e per i successivi cinque o sei giorni ci spostavamo a piedi per parlare con le persone e scoprire cosa pensavano su quell’argomento. Abbiamo incontrato gente di tanti luoghi diversi, dalle città, ai piccoli villaggi, fino ai campi profughi. Abbiamo scelto di rinunciare a hotel e ristoranti. Durante queste spedizioni dovevamo quindi trovare qualcuno che ci ospitasse a dormire e mangiare. Siamo rimasti stupiti da quante persone disponibili abbiamo incontrato. Non ci siamo mai trovati in grave difficoltà».
Se il turismo organizzato sfiora solo le mete più frequentate, i giovani della Tvind hanno invece avuto l’occasione di entrare a contatto direttamente con le comunità locali , conoscerle a fondo e qualche volta lasciare anche un loro piccolo segno. «Ad un certo punto – raccontano – ci siamo fermati per una decina di giorni in Grecia, al confine con la Turchia. Abbiamo chiesto a una donna, Cristina, che abita vicino a dove avevamo lasciato il bus se ci avesse lasciato usare la doccia di casa sua. Dopo un attimo di perplessità, non solo ci ha accolto, ma ci ha “adottato” anche per i giorni successivi. Abbiamo quindi colto l’occasione per visitare il paesino vicino, appena 200 abitanti. Insieme agli abitanti abbiamo organizzato una grande cena a cui ha partecipato l’intera comunità. Abbiamo visto giovani compaesani incontrarsi per la prima volta e nuove amicizie nascere in un momento di festa».
«Ci siamo accorti quante persone odiano ciò che non conoscono»
Veder un grande pullman giallo accampato e un gruppo di giovani che entrano ed escono non è una scena a cui molte persone sono abituate, e neppure le forze dell’ordine. «Quando ci siamo fermati vicino al confine tra Grecia e Turchia – spiegano Giulia, Anna e Ruslan – la polizia di frontiera ci fermava quasi ogni giorno. “Vediamo così tanti rifugiati che cercano di superare il confine. Dobbiamo veramente insistere con i controlli” ci hanno spiegato gli agenti. Solo quando mostravamo il passaporto europeo eravamo subito liberi di andarcene. Ci ha fatto riflettere su quanto fossimo privilegiati solo per la nostra cittadinanza. Una famiglia, per esempio, ci ha ospitato “solo perché non siete siriani”. Durante questo viaggio ci siamo accorti di quante persone siano spaventate e odino quello che non conoscono. Moltissimi si tengono stretti alle proprie convinzioni, abitudini o precetti religiosi, senza farsi domande».
«In un gruppo, la forza di uno diventa la forza di un altro»
«Al termine del viaggio – afferma Giulia –, ho capito quanto è importante il gruppo per lo sviluppo dell’individuo. Quando fai parte di un gruppo, le tue abilità diventano punti di forza anche per tutti coloro che ti accompagnano e vice versa».
«Abbiamo visto – racconta Anna – quanta diversità ci sia al mondo, ma anche che nonostante le differenze in fondo siamo tutti umani. Combattiamo per gli stessi obiettivi e se riuscissimo a lavorare insieme, potremmo davvero costruire una realtà migliore».
«Se voglio che accada qualcosa – aggiunge Ruslan –, allora devo essere io a farla. La mia felicità dipende da me. Se mi trovo in una situazione difficile, sono io a doverla cambiare o a dovermene andare. Un insegnante non può permettersi di svolgere il proprio lavoro, se vive in una condizione che odia e non sta facendo nulla per migliorarla».
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