A Luino gli auguri alla partigiana Rosetta: 95 anni sempre al servizio dei più deboli
È stata una protagonista molto importante durante la Resistenza, subendo insieme alla madre il carcere e rischiando la fucilazione per aver dato ospitalità ai giovani della Gera che furono trucidati il 7 ottobre 1944
Rosetta Garibaldi Merini, compie 95 anni. Da tempo è ospite di Villa Fonteviva, amorevolmente circondata dall’affetto di nipoti e cugine. Rosetta è stata una protagonista molto importante durante la Resistenza, subendo insieme alla madre il carcere e rischiando la fucilazione per aver dato ospitalità ai giovani della Gera che furono trucidati il 7 ottobre 1944. L’attività umanitaria della famiglia Garibaldi Baggiolini era però iniziata molto prima. Riportiamo di seguito la testimonianza diretta di Rosetta rilasciata alcuni anni or sono.
«La richiesta di venire da noi con un gruppo di ragazzi partigiani fu avanzata dal capitano Lazzarini a mia mamma, Maria Badi Garibaldi. Infatti, il capitano Lazzarini, passando davanti alla cascina e alla stalla, non so se in occasione di una passeggiata o per cercare un posto o probabilmente perché aveva già visto la cascina con la stalla, incontrando la mamma, le chiese se ne poteva usufruire per un gruppo di giovani e prenderne asilo. La cascina e la stalla da tempo non erano più usate come tali, perché prima di loro erano già passati tanti contrabbandieri e tante altre persone, quasi tutte perseguitate politiche, provenienti da ogni parte, per attraversare la valle e la montagna. La mamma e tutta la nostra famiglia erano molto legate a don Piero Folli e quindi si aderiva a tutte le sue richieste, finalizzate a portare questa povera gente, inglesi e molti altri in Svizzera. Ci si avvaleva della collaborazione dei nostri contrabbandieri, che in dialetto si chiamavano sfrusadur, che conoscevano bene la zona di confine. Così si cominciò a chiedere ospitalità alla nostra famiglia che abitava un po’ fuori Voldomino, affinché questi perseguitati politici potessero trascorrere una notte in attesa di essere accompagnati il giorno successivo in Svizzera. Don Folli, infatti, non avrebbe potuto nasconderli in chiesa o in casa sua, perché sarebbe stato un disastro. Percorrevano però la via dei boschi, senza passare mai dalla strada. Arrivati a Biviglione, attraversavano il primo ponte sul Tresa e sapevano quando c’era il cambio delle guardie svizzere e quindi (“da quest’ora a quest’ora” “noi aspettiamo quella guardia”) passavano sotto il ponte. Attraversato dunque il Tresa a piedi, approdavano in Svizzera. Passarono da qui tanti inglesi che facevano capo a Miss Bacciagaluppi, inglese anche lei, che possedeva una villa a Porto o a Caldé. Erano collegati con don Folli e con l’onorevole Alessandrini che aveva ospitato anche lui molte persone. Ma il passaggio vero e proprio avveniva alla Gera, perché lì potevano fermarsi a dormire per una notte e intanto saliva dalla mamma Miss Bacciagaluppi che portava a loro, così alla buona, il tè ed altri viveri di prima necessità prima che i contrabbandieri li accompagnassero in Svizzera. Ne salvarono molti e per ogni persona che accompagnavano, don Folli dava loro un foglietto con il nome e quando erano giunti in Svizzera, glielo facevano firmare e lo riportavano a don Folli, così aveva un riscontro sicuro. A questi spalloni don Folli passava poche lire per compensarli del minor carico di sigarette che avrebbero potuto portare. Questo avvenne fino a quando don Folli non fu arrestato e successe quel che successe. Fu, infatti, tradotto in carcere, prima a Varese e poi a Milano, a S. Vittore, e lì, nella stessa cella, trovò il signor Sassi (primo sindaco di Germignaga dopo la Liberazione). Poi incontrò anche il meraviglioso pittore Zagni, quello che in seguito dipinse la Madonna dei Partigiani nella cappella della Gera. Erano tutti insieme e ricevevano continue percosse, ignari di come sarebbero andate le cose».
Poi il ricordo dell’arresto e della detenzione: «Noi comunque fummo portati in carcere ai Miogni di Varese. Ci trascinarono via di qui senza niente. Non ci diedero neanche il tempo di prendere un cappotto, un soprabito, un vestito, niente, ci portarono via con le ciabatte, così come eravamo quando ci si alza al mattino. Ci condussero a piedi dalla Baggiolina fino alla strada, dove ci attendeva la camionetta dei fascisti. Ci fecero salire, mentre loro erano intorno con i mitra spianati e ci portarono a Villa Danzi a Varese. Lì cominciò l’interrogatorio». Poi finalmente la liberazione: «Però la mamma prima volle andare a salutare e ringraziare il cappellano delle carceri, un uomo anziano che viveva a Biumo Inferiore: vedemmo una chiesa, entrammo, chiedemmo di lui, ma non ricordo come si chiamasse. Ci ricevette e fu felice di vederci e ci confidò che per tre giorni di seguito era stato chiamato perché gli avevano detto che ci dovevano fucilare. Poi siamo tornate a casa, ma a casa non abbiamo trovato più niente: era completamente vuota, non c’erano più nemmeno i fili della luce. Poi, in un secondo tempo, abbiamo saputo da una persona che avevano deciso di far saltare la casa con la dinamite e che avrebbero fatto sfollare tutti quelli che abitavano nella zona vicina alla Svizzera per abbattere le abitazioni».
Un racconto drammatico che ci riporta ad uno dei periodi più bui della nostra storia, dove uomini e donne coraggiosi, pur consapevoli del rischio che correvano, non hanno soffocato il senso di profonda umanità a cui ogni persona dovrebbe attingere anche nei momenti più difficili. Auguri Rosetta (nella foto Ester De Tomasi, presidente Anpi provincia di Varese con Rosetta Garibaldi Merini)
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