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Carlo Pastori: un alpino di Luino dalla Divisione Monterosa ai partigiani di Bobbio

Costretto a vestire la divisa della Repubblica di Salò per evitare guai alla famiglia, lasciò poi le file fasciste. Una storia in comune con migliaia di altri coscritti, raccontata dalle lettere raccolte in un libro dal fratello Bernardo e da Carlo Banfi

alpini partigiani trebbia

«Dove ci troviamo siamo circondati dai partigiani tutte le notti vengono a trovarci specialmente questa notte pareva un inferno, sparavano da tutte le parti…».
Siamo nel settembre del 1944 e l’alpino Carlo Pastori scrive a casa, alla famiglia che è a Voldomino di Luino.
Veste la divisa fascista della Repubblica Sociale Italiana, divisione Monterosa, e le sue notti sono inquiete: sparano i partigiani, quasi ogni notte alcuni degli alpini in divisa fascista passano dalla loro parte.

La storia di Carlo Pastori, “un alpino della Monterosa”, è stata ricostruita con passione dal fratello Bernardo e dal professor Carlo Banfi, in un volume pubblicato nel 2021 e che ha al centro le lettere che Carlo inviava alla sua famiglia.

Prima dalla Germania, poi dalla Liguria, infine dai monti della Val Trebbia, dove lascia le file dell’esercito di leva fascista e passa alla VII Brigata Alpini, partigiani con la penna nera guidati da Italo Londei. Le lettere sono un filo che tiene insieme il percorso militare di Carlo e le vicende del 1943-45 a Luino, luogo di transito verso la Svizzera.

La storia dell’alpino di Luino non è isolata, anzi: è un pezzo delle vicende della Divisione Monterosa, la grande unità di leva costituita dalla Repubblica di Salò, in cui furono arruolati ventimila ragazzi italiani. Per lo più non per scelta, ma perché costretti, anche se certo non mancava chi era convinto e voleva combattere per Mussolini. 
Dopo l’addestramento in Germania, già a partire dai giorni del rientro in migliaia disertarono, per tornare a casa o per combattere invece nelle file partigiane, dalla parte del legittimo governo italiano: a metà settembre 1944 i disertori erano già oltre mille.

All’inizio molti alpini della Monterosa si arruolano per uscire dai campi di concentramento in Germania (dove angherie, soprusi e violenze erano la norma) o per sottrarre i propri familiari al rischio di rappresaglie da parte dei fascisti di Salò. Così avviene anche per Carlo Pastori: inizialmente si nasconde in un vecchio bunker della Linea Cadorna, al Mass de Lisciaca, sopra Voldomino di Luino. Ma quando i fascisti minacciano suo padre Enrico, alla fine decide a presentarsi. 

Birra, fango e tormenta: l’addestramento della Divisione Monterosa in Germania

Carlo finisce in Germania, nel campo di addestramento di Münsingen: nelle lettere a casa scrive che per il vitto «non c’è male» (abbonda la birra), probabilmente per tranquillizzare i familiari. Dai racconti successivi di tante reclute si sa che il cibo non era granché e soprattutto la disciplina era dura e punitiva (gli istruttori tedeschi apostrofavano gli italiani come «scheisse», merda).

alpini partigiani
Una delle fotografie scattate al campo di Münsingen

Quel che Carlo non nasconde alla famiglia è la durezza del clima: «La primavera è cominciata qui con 23 gradi sottozero e tormenta» scrive in una lettera datata 21 marzo 1944.

Dopo l’addestramento in Germania, la divisione Monterosa viene subito schierata – per ordine dei tedeschi – in Liguria, dove si temeva uno sbarco alleato, un secondo fronte sul Mediterraneo dopo l’invasione della Sicilia.

Liguria, luglio 1944: a Genova e tra le case bombardate di Recco

Anche Carlo arriva in Italia, in treno: al 22 luglio è a Genova, poi con difficoltà il suo battaglione, “Aosta”, si sposta lungo la costa. A piedi, perché c’è «la ferrovia rotta», interrotta dalle incursioni degli aerei inglesi e americani.

Il suo reparto viene schierato in «un paese completamente distrutto dai bombardamenti», Recco, cittadina sul mare spianata dalle esplosioni delle bombe americane che puntavano a distruggere il ponte della ferrovia e quello dell’Aurelia (quasi 150 morti e 300 feriti).

Le lettere raccontano che Carlo vive giorni in un paesaggio surreale, dove le tende sono montate tra le case distrutte e la polvere, ma le colline e gli orti intorno danno frutta in abbondanza, in quella valletta ormai disabitata.
Tra i pochi abitanti locali rimasti c’è la signora Teresa di Recco, che con una lettera al 30 agosto 1944 informa le famiglie a Luino e Voldomino che Carlo e i suoi compaesani sono partiti per altra destinazione.

Recco bombardamenti
Recco dopo i devastanti bombardamenti per interrompere le vie di comunicazione. Nel dopoguerra il paese fu ricostruito con forme moderne

Tra i monti di Bobbio: gli alpini e i partigiani

In Liguria non c’è stato alcuno sbarco, gli Alleati invece hanno preso terra a metà agosto in Provenza, vicino a Marsiglia.
Il comando tedesco sposta gli alpini della Monterosa in parte sulle Alpi, in parte in Garfagnana, tra Toscana ed Emilia. Una parte però rimane sui monti della Liguria, per combattere contro le piccole bande partigiane, che però stanno diventando un vero esercito, sempre più organizzato.
Gli alpini vengono schierati lungo il percorso della Statale che collega Piacenza con Genova, la pianura padana con la Liguria. I plotoni presidiano tanti punti lungo la strada: salendo da Genova si trovano a Torriglia, nel paesino di Montebruno tra fitti boschi, nel castello di Gorreto, poi in territorio emiliano a Marsaglia, poi giù nella antica piccola città di Bobbio. Proprio a Bobbio finisce anche Carlo.

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Bobbio ancora oggi si presenta come una compatta cittadina lungo il fiume Trebbia, circondata dalle alture dove un tempo operavano i partigiani

Nella valle del Trebbia le brigate partigiane sono già organizzatissime e fanno capo soprattutto alla Divisione Giustizia e Libertà, che è comandata da un carabiniere, Fausto Cossu.
Della Divisione fa parte anche la Brigata che è guidata dal tenente degli alpini Italo Londei, che sa usare le armi, ma ancora di più dalla persuasione: usando anche alcuni intermediari dentro la città di Bobbio convince gli alpini a lasciare la divisa fascista. Anche quelli che vengono catturati in combattimento non subiscono violenze, ma vengono subito “arruolati” e diventano a loro volta tramite per richiamare altri nelle file partigiane.

Lo raccontano, con un po’ di reticenza, anche le lettere di Carlo Pastori: «Tutte le notti ne portano via qualche squadra… tanti dei miei compagni se ne sono già andati e ora stanno bene lassù», scrive nella lettera del 17 settembre 1944. Anche Carlo non ce la fa più: sono circondati dai monti, l’estate è finita ma fanno le guardie vestiti ancora con divise leggere, i partigiani agiscono tutte le notti, nel trasferimento dalla Liguria a Bobbio gli hanno addirittura perso una parte delle sue cose.

La scelta

Con l’avvicinarsi dell’autunno Carlo fa la sua scelta, passa nelle file partigiane.
Solo al 20 ottobre riuscirà a scrivere ai suoi, a Voldomino: «il mio nuovo padrone ci vuole bene e non ci lascia mancare nulla», dice alludendo al fronte partigiano e al nuovo comando. Con lui ci sono anche alcuni paesani, in particolare i gemelli Mario e Federico Marelli, anche loro di Voldomino.

Nel turbine della guerra civile, che imponeva una scelta di campo, non tutti saranno fortunati: un commilitone di Carlo fu ucciso in quei giorni dai partigiani proprio a Voldomino, dove si trovava in licenza.
All’opposto molti altri finiranno invece fucilati mentre tentavano di passare alle file della Resistenza, a volte anche in gruppi (ad esempio u

Generico 03 Oct 2022
Il monumento che ricorda cinque alpini giustiziati dalla Rsi nell’entroterra di Chiavari. Foto di Giovanni Bloisi

I disertori della Rsi, un tema scomparso

Molti alpini sono stanchi di combattere contro altri italiani: al 4 novembre in Liguria addirittura un intero battaglione di alpini della Monterosa, il “Vestone”, passerà ai partigiani, grazie all’incontro sofferto e alla lunga mediazione tra il loro comandante – il maggiore trentino Cesare Paroldo –  e il carismatico comandante della Resistenza sopra Genova, Aldo Gastaldi “Bisagno”.
Non è un caso che  proprio nei reparti in val Trebbia e in Liguria, schierati in funzione anti-ribelli, che ci sono più diserzioni (mentre meno saranno gli abbandoni della divisa fascista sulle Alpi e in Garfagnana, dove gli alpini combattono per lo più contro gli Alleati).

Quelle di Bobbio e della Liguria non sono storie isolate, seppur poco conosciute: il tema dei disertori è rimasto per lunghi anni un po’ taciuto, forse anche perché mostrava come l’adesione alla Resistenza non era stata scelta immediata per tutti, ma spesso era passata da dubbi, attese, contraddizioni.

Generico 03 Oct 2022
Un fotogramma del film “Achtung! banditi!” del 1951, ambientato a Genova: al momento dello scontro tra partigiani e invasori tedeschi, un gruppo di Alpini della Monterosa decide di rivolgere le armi contro i nazisti.
Il film fu valutato positivamente ma non in maniera entusiastica dall’Unità, mentre la commissione censura governativa temeva la rappresentazione della contrapposizione di «italiani contro italiani», allora taciuta

Carlo Pastori torna a casa dopo 16 mesi di guerra

Guidati dal carismatico tenente Londei, le trecento penne nere della VII Brigata partigiana “Alpini” rimarranno sempre insieme, resisteranno al rastrellamento di fine novembre quando i tedeschi scatenano la furia dei “mongoli”. E ad aprile 1945  libereranno Piacenza e presidieranno il cuore amministrativo della città, la Prefettura.

Tra gli alpini che lasciano Bobbio e seguono la brigata partigiana di Italo Londei ci sono come detto anche i fratelli gemelli Mario e Federico Marelli, di Voldomino, amici con cui Carlo Pastori divise quasi un anno di vita. A Natale 1944 i due fratelli lasciarono Bobbio e si incamminarono verso Luino, per poi passare clandestinamente in Svizzera: alcuni disertori rimasero nelle file partigiane fino all’ultima offensiva di primavera e al 25 aprile, ma altri decisero semplicemente di tornare a casa, di non aver più a che fare con la guerra.

Carletto Pastori rimase invece nel Piacentino fino alla Liberazione.
Finita la guerra, come migliaia di altri soldati e partigiani dispersi ovunque si mise poi in viaggio verso casa: arrivò a Voldomino il 15 maggio 1945. Scoprì che era morto il suo amico Elvio Copelli, con cui aveva diviso l’uso di una bici: diventato partigiano, Copelli era stato catturato alla cascina Gera e fucilato all’ippodromo di Varese, nell’ “ottobre di sangue varesino”.
Era l’ultimo dolore portato da quella guerra. Ma quel 15 maggio finalmente Carlo potè riabbracciare i suoi genitori e Bernardo, il suo fratellino «birichino» di dieci anni.

Generico 03 Oct 2022
Tra le viuzze di Voldomino, oggi

Da Luino a Chernobyl: Bernardo Pastori, tra memoria e impegno di pace

Carlo è morto nel 2004: per trasmettere la sua storia minuta, parte della grande Storia, Bernardo ha appunto raccolto le sue lettere in un libro, arricchito dai commenti suoi e dall’inquadramento storico del professor Carlo Banfi.

Bernardo oggi ha 87 anni, l’abbiamo incontrato a Luino il giorno di Ferragosto. 
 Nel 1946 ha lasciato la scuola, a undici anni: la povertà della famiglia non gli permise di continuare a studiare. Ha fatto il muratore emigrante in Francia (espulso perché sotto l’età per lavorare), lo spalatore di neve alla stazione FS, l’operaio nel Canton Soletta e poi in Ticino, infine dal 1962 l’artigiano, fino al 1980 insieme a Carlo.

Bernardo Pastori
Carlo Banfi e Bernardo Pastori, agosto 2022

«Ho preso la licenza elementare, con un premio al merito che mi è stato dato dal Credito Varesino. Ma io dovevo andare a lavorare» La sua vita itinerante ha allargato i suoi orizzonti. «Oggi parlo inglese, francese, tedesco, un po’ di Ucraino perché ho seguito per anni i bambini di Chernobyl». È stato il fondatore di Aubam, nota appunto per l’impegno per i “bambini di Chernobyl”.

Un impegno di solidarietà andato avanti per anni, a fianco dell’impegno per la memoria. Nel libro ha inserito anche le foto di una visita ad Auschwitz, il culmine di quell’odio che con il nazifascismo aveva trascinato nel gorgo della guerra milioni di persone in tutta Europa, dalle grandi città ai più piccoli paesi del continente, com’era Voldomino.

 

Carlo Pastori “Lettere di un alpino della Monterosa. 8 marzo ’44 – 1 aprile ’45”, a cura di Carlo Banfi e Bernardo Pastori – ed.Marna, 2021, ISBN 978-88-7203-729-4

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 06 Ottobre 2022
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