Tavolo per il Clima Luino: “Come ridurre la plastica usa e getta? Ecco la stoviglioteca”
Una proposta a impatto zero di cui presto daranno tutti i dettagli
(A cura di Alessandro Perego del Laboratorio Comunicazione)
E’ facile, in un mondo dominato dai conflitti, lasciarsi soggiogare da una visione manichea della realtà: bene e male come due poli distinti e incommensurabili, rigidamente separati, senza nessuna sfumatura. Se a ciò aggiungiamo un pizzico di semplificazione esasperata, caratteristica tipica della comunicazione contemporanea, si scivola facilmente nella fallace convinzione che ogni cosa debba essere per natura o buona o cattiva, indipendentemente dal modo in cui noi ci rapportiamo ad essa.
La plastica, nemica contemporanea dell’umanità seconda soltanto all’olio di palma, sfida e distrugge questa falsa credenza dell’uomo contemporaneo. La plastica è un materiale che ha ricoperto e ricopre tuttora un ruolo importantissimo nella sanità, nell’industria, nei trasporti. Moltissimi oggetti durevoli di uso quotidiano quali mobili di arredamento, computer e smartphone, penne stilografiche, automobili, contengono al loro interno componenti plastiche. Forse almeno una parte di questa plastica potrebbe essere sostituita da materiali più ecologici, ma non è detto che il rapporto costi-benefici sia favorevole, anche tenendo in considerazione i costi ambientali. In ogni caso, questa plastica per così dire “buona” ha contribuito in misura importante al benessere tipico della società contemporanea.
Non è dunque il materiale in sé, ma l’uso che ne facciamo, che rende la plastica “cattiva”. Il caso emblematico è rappresentato dalla plastica usa e getta. Un rapporto del WWF del 2019 rileva che ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mediterraneo. Lo stesso rapporto prevede che entro il 2050 l’inquinamento nell’area mediterranea possa persino quadruplicare. Se è vero che è l’industria, con le campagne pubblicitarie martellanti tese ad indurre nei consumatori bisogni fittizi (pensiamo ad esempio al caso dell’acqua in bottiglia), la principale responsabile della diffusione della plastica usa e getta (insieme alla politica inerte), è altrettanto vero che il consumatore può sempre scegliere quali prodotti acquistare e che, purtroppo, le nostre scelte spesso sacrificano l’ambiente in favore della presunta maggiore “comodità” dell’usa e getta. Un modo politicamente più corretto, questo, per dire una verità che fatichiamo a riconoscere: il consumismo ci ha regalato, insieme al benessere, una pigrizia che sfiora l’inettitudine.
L’Unione Europea, con la Direttiva 904/2019, ha cercato di mettere un freno alla messa in circolazione di materiale plastico usa e getta. La direttiva, come è noto, è stata poi recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 196/2921, che mette al bando posate, piatti, cannucce, bacchette e altri materiali plastici. In Italia la direttiva è stata peraltro applicata in un modo, per usare un eufemismo, “creativo”, lasciando fuori dal bando le cosiddette bioplastiche. Una decisione, la nostra, apparentemente non contemplata dalla normativa europea.
I prodotti usa e getta in bioplastica hanno almeno due problemi: anzitutto, i costi sono molto elevati rispetto all’equivalente in plastica. Più importante, spesso pur essendo dichiarati biodegradabili non è noto quanto tempo impiegherebbero a decomporsi se dispersi nell’ambiente, mentre per essere compostati richiedono un ciclo di trattamento diverso rispetto a quello degli altri materiali e dovrebbero essere conferiti in appositi centri di smaltimento specializzati. Purtroppo però alcune inchieste giornalistiche (ad esempio quella fatta su “Il Fatto Quotidiano”) hanno messo in luce la sostanziale incapacità di molte strutture, allo stato attuale, di smaltire nei tempi e nei modi previsti questi materiali, che vengono quindi separati dal resto della frazione umida e smaltiti insieme alla frazione secca, ovvero portati in discarica o bruciati negli inceneritori.
Interrompiamo ora queste riflessioni di carattere generale per calarci in un esempio concreto. Supponiamo di voler organizzare una festa per 50 persone. Non abbiamo abbastanza piatti e posate per tutti gli invitati. Potremmo ricorrere alla bioplastica, ma il costo non sarebbe irrilevante. Soprattutto, non vogliamo che 50 piatti, altrettanti bicchieri e 100 posate finiscano nell’inceneritore appena qualche ora dopo essere state acquistate. Cosa possiamo fare?
Se abitiamo nel luinese, oggi grazie al Tavolo di lavoro per il Clima di Luino, e in particolare grazie al Laboratorio Cibo e Ambiente coordinato da Lara Tavani (e grazie all’aggiudicazione da parte del Tavolo per il Clima del bando “Fermenti in comune” dell’ANCI), abbiamo un’alternativa: la stoviglioteca.
Ma che cos’è e come funziona? Ve lo spieghiamo nel prossimo articolo, ma vi anticipiamo una cosa: il peso per le vostre finanze sarà pari all’impatto che la vostra scelta avrà sull’ambiente. Zero.
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