Luciano e il vento: vita quotidiana di un velaio della Sponda magra
Luciano Brovelli fa il velaio, un’arte antica, che si tramanda da millenni in questo Paese di navigatori, e che oggi vive in pochissimi laboratori. Sul Lago Maggiore, ad Angera, manda avanti un piccolo laboratorio di riparazione delle vele
Luciano Brovelli, sulla terraferma è come un animale schivo, sembra persino a disagio, soprattutto ora che gli anni hanno acciaccato un po’ i suoi passi. Sull’acqua è nel suo ambiente ideale, magari con lo sguardo che punta verso l’alto. O verso le montagne, o verso la pianura, a seconda dell’orario: guarda il cielo sì, ma in realtà cerca il vento. E se il Mottarone ha il cappello in testa (le nubi), arriva il brutto tempo. Sì, è un lupo di lago, Luciano. Cercare il vento, ritrovarlo e ascoltarlo è stato dapprima il suo gioco preferito, quando era bambino, e poi è diventato la sua vita, per lavoro e per passione. Passione oggi condivisa con sua moglie Carlotta: Luciano Brovelli, che viaggia verso le 77 primavere, ha ancora due occhi da bambino, che vedi accendersi di una luce unica soltanto quando parla di sua moglie o di una barca a vela da far portare al largo. Ci aggiunge un sorriso bello pieno, quando su questa barca ci sale con sua moglie.
Fa il velaio, Luciano Brovelli: un’arte antica, che si tramanda da millenni in questo Paese di navigatori, e che oggi vive in pochissimi laboratori. «In tutta Italia, non più di dieci, forse meno». Il velaio del terzo millennio, ovviamente, non cuce e taglia più le vele come un sarto, ma ha alle sue spalle un laboratorio di tecnici e ingegneri, può disporre di materiali sempre più sofisticati «le vele possono essere di almeno dieci materiali differenti», e si avvale di strumenti digitali e informatici sempre più avanzati: tuttavia, la prima e l’ultima parola spetta a lui, all’uomo che sa dialogare con il vento. Da sempre lo ascolta, lo interpreta, lo cattura, lo cavalca, lo sfida e lo rispetta.
«Il mio lavoro comincia dalla barca: tocca me prendere le misure, salire a bordo, vedere che tipo di barca è, come è stata costruita, pregi e difetti dello scafo. A quel punto, mi confronto con l’armatore e con le intenzioni: se è una barca da regata o da crociera, se deve navigare in mare aperto, sugli oceani o sul lago, se il budget di spesa è alto o basso. A quel punto, mi confronto con i tecnici e gli ingegneri che dovranno disegnare e realizzare la o le vele, assieme si individuano i materiali e le soluzioni migliori e una volta realizzate le vele, tocca a me testarle sulla barca e individuare eventuali modifiche». Luciano Brovelli lavora per una grossa azienda danese, che ha il suo laboratorio italiano a Segrate, in provincia di Milano. Sul Lago Maggiore, ad Angera, Luciano manda avanti anche un piccolo laboratorio di riparazione delle vele.
Tutto, però, cominciò da Ranco, il paese della sua infanzia: «Da sempre, è un paese che vive di lago, Ranco. Mio padre, invece, faceva il barbiere, ma abitavamo in un vecchio cortile di pescatori». I pescatori riempivano di fantasia le sue giornate di bambino. Vederli partire, con le rete a bordo, prendere il largo e attendere il loro ritorno: un rito quotidiano per molti, un’emozione per il piccolo Luciano, un bambino di cinque anni, che ogni volta chiedeva ai pescatori di portarlo con sé. «E così un bel giorno, mi fecero salire. I pescatori salpavano al pomeriggio e puntavano a Nord, verso le isole Borromee, dove andavano a posare le reti. Rientravano la sera e poi ripartivano al mattino all’alba, per tornare col pescato. Risalivano a remi e tornavano sfruttando il vento, scendendo a Ranco issando una vela che altro non era che un lenzuolo trattato con le castagne, con lo stesso liquido con cui si trattavano le reti per renderle scure. Quella tintura rendeva le vele un po’ più resistenti e le impermeabilizzava: erano poco più che lenzuola, vele da poveri, su barche pesantissime, i burchielli».
Aveva cinque anni, Luciano Brovelli, quando il vento lo conquistò. E da allora, lui e il vento si osservano, si studiano e si sfidano ogni giorno: «Erano i primissimi anni Cinquanta, quando riuscii a farmi portare in barca da due ragazzi olandesi, figli di una famiglia che abitava a Milano, ma aveva una casa di villeggiatura a Ranco. Con loro, io piccolissimo, feci le prime vere esperienze. E mio padre, che non era un uomo di lago, capì che avevo una passione grande». Fu così, che Luciano ricevette in regalo il suo primo barchino: «A dieci, dodici, tredici anni, partecipavo alle mie prime regate e arrivavo sempre ultimo. Mio padre mi portava alle gare, mettendo la barca sul tetto dell’auto, una 1100. Con una pazienza enorme, quella volta che arrivai quindicesimo e non ultimo, mi festeggiò come se avessi vinto». Dai barchini ai velieri, ci furono di mezzo trent’anni di laghi, mari e venti. «Io timonavo e timono le barche, quello so fare», fino alla Barcolana a bordo del Moro di Venezia di Raoul Gardini. I ricordi più vivi e le emozioni più intense lo riportano a bordo della “sua” Swala, una barca di 9 metri, armatore Paolo Albarello. Imprese che sembrano leggende da raccontare la sera, davanti a un caminetto e un bicchierino di grappa in mano: come quella volta che Luciano e il suo equipaggio sfidarono l’Atlantico settentrionale, nel 1979: «Da Sanremo, uscimmo da Gibilterra e puntammo verso Madeira. Giorni, settimane in oceano. Poi da lì volevamo proseguire verso Nord, ma beccammo una burrasca pazzesca, che fece molti morti. Per nostra fortuna, ci toccò soltanto la coda di questa tempesta, ma la barca subì danni. Alla fine, i venti ci spinsero a Sud e arrivammo a Tenerife. Stanchissimi, distrutti. Dopo qualche giorno di sosta, tentammo di rientrare, ma a Gibilterra fummo trainati da una nave perché la nostra barca non era più in condizioni di viaggiare da sola».
Tra i suoi “allievi”, anche Tiziano Nava, il più celebre velista varesino: «Da ragazzino usciva in barca con me, poi è arrivato molto più in là, fino a vincere cinque Mondiali». Sul suo amato lago, fu tra i creatori e poi plurivincitore della “Rotta dei Mazzarditi”, la celebre regata da Ispra ai Castelli di Cannero e ritorno, ideata dal circolo velico di Ispra. «Quella è una regata particolare, oltre che suggestiva, molto difficile. Perché si parte in tarda mattinata e quasi sempre con vento molto debole. Diventa una gara di pazienza. Poi dai castelli, si scende a Ispra quando si è già alzata l’inverna, ma ce l’hai spesso contro».
Tramontana e inverna, i “re del Verbano”, che Luciano Brovelli ha imparato a conoscere, amare, odiare, imbrigliare e cavalcare con decine di barche. I grandi venti, sul Lago Maggiore, si fanno sentire da marzo. L’inverno è fatto soprattutto di attesa, brezze e “sbuffetti” come li chiama Luciano. Abita a Taino, il lago non lo vede: «Ma vedo il Monte Rosa» e osservando le montagne e la sponda piemontese riesce comunque anche da casa a capire che aria tira, guardando le nuvole. Luciano ha visto e vede il suo lago cambiare, al di là dell’ultima secca spaventosa: «La secca c’è, ma al di là della scarsità d’acqua, dipende molto anche dalla gestione delle dighe a valle e in Svizzera». Più preoccupante è il cambiamento climatico: «Sì, perché anche i venti cambiano. Sul Verbano, da secoli, per non dire da sempre, i venti hanno avuto una grande regolarità: al mattino presto si alza la tramontana da Nord. Poi, nel pomeriggio, sale da Sud l’inverna. Tramontana e inverna sono sempre stati precisi, oggi non è più così. A seconda del meteo, ci sono altri venti, dal Mergozzo alla Marenca che arriva al lago dalla Valcuvia, ad altri minori. Con il cambiamento climatico, però, c’è più instabilità, i ritmi della natura e di conseguenza anche dei venti sono diventati più imprevedibili, spesso estremi: dalla bonaccia alla burrasca, quando meno te l’aspetti».
Navigare sul lago è tutt’altro che facile: «Occorre fare attenzione, non sottovalutare niente, perché non è vero che il lago è meno pericoloso del mare aperto. C’è un vento molto pericoloso, per esempio, che è il Mergozzo: a volte tira di quelle folate che arrivano a 50 nodi, che vuol dire 100 all’ora. Un vento in grado di ribaltare anche le barche a motore robuste. Per dire, che bisogna essere in grado di capire, interpretare e gestire le situazioni difficili anche sul lago».
Tuttavia, il turismo nautico è anche una grande opportunità: «Ovviamente sì, c’è un grande indotto anche qui sul Lago Maggiore: solo col mio lavoro, ho rapporti con ben 40 cantieri, ma sono molti di più. Sul lago abbiamo, credo, più di tremila barche: è una realtà importante».
Luciano e il vento, due compagni di vita: uno guarda il cielo, lo cerca, l’altro risponde e gli accende le idee. I due hanno già in mente le prossime avventure, le prime regate dell’anno, magari timonando l’Antinea, «un dieci metri che sa regalare ancora emozioni ai vecchietti come me». O magari progettando dolci avventure, sulla barchetta Elfi: «Io, mia moglie Carlotta, il vento e nessun altro». Tramontana o inverna, basta avere ancora la pazienza e la curiosità di cercarle, ogni mattina, ogni sera: il senso di una vita, la risposta giusta, come direbbe Bob Dylan se vivesse sul Verbano, può essere nel vento.
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