Il commissario dell’Asst Sette Laghi: “La sanità è cambiata: l’ospedale non sarà più centrale”
Giuseppe Micale, alla guida dell'azienda ospedaliera varesina, racconta i cambiamenti in atto e parla delle difficoltà tra personale carente e stipendi troppo bassi
Com’è lo stato di salute della sanità italiana e lombarda in particolare? Quali sviluppi? Quali modelli?
Abbiamo rivolto le domande a diversi operatori della sanità. Ascoltiamo l’opinione del responsabile dell’Ufficio di Pubblica Tutela dell’Asst Valle Olona, una figura nata per garantire i diritti dei cittadini in campo sanitario
La medicina sta cambiando ma accettare il cambiamento presuppone un percorso. La riforma della sanità da una parte e i fondi del PNRR dall’altra mirano a costruire un nuovo modello di presa in carico, abbandonando la vecchia contrapposizione territorio e ospedale.
Quello che stiamo vivendo è un momento di passaggio: inizia ad aprire qualche struttura, vengono introdotte nuove figure, si amplia la gamma delle attività digitali. Superare il concetto “ospedalocentrico” delle cure, però, è difficile.
LA CASA DI COMUNITA’ IL NUOVO PUNTO DI RIFERIMENTO
Il commissario straordinario dell’Asst Sette Laghi Giuseppe Micale ha ben chiaro il modello: « Ci stavo lavorando a Milano, nell’Ats Metropolitana, prima di arrivare a Varese – ricorda il dottor Micale – stavamo progettato il “cubo”, una struttura a più piani dove trovano collocazione attività diverse, a differente intensità di cura: amministrazione al piano terreno, diagnostica al primo piano, quindi medici di base e in alto gli specialisti. A Varese non è possibile attivare questo schema perchè stiamo intervenendo su strutture esistenti che vanno solo ristrutturate. Il concetto, però, è identico. Il cittadino, soprattutto il paziente cronico, dovrà abituarsi a considerare la casa di comunità il suo punto di riferimento naturale, vicina e con un’offerta di cura di base».
PUA E INFERMIERE DI FAMIGLIA LE NOVITA’
Attualmente, nelle case della comunità attivate dalla Sette Laghi ad Arcisate, Varese, Laveno e Tradate, non ci sono tutti i servizi previsti: non c’è ancora un accordo con i medici di base, gli specialisti presenti non hanno aumentato l’offerta preesistente. In tutte ci sono due novità essenziali: il PUA, che è lo sportello unico a cui il cittadino può trovare la risposta ai propri bisogni in modo integrato socio sanitario, e l’infermiere di famiglia, vera novità, che lavora nella casa dal lunedì al sabato, per effettuare prestazioni di tipo infermieristico a chiunque ne abbia necessità; entra, poi, nelle case dei pazienti per valutarne le necessità e attivare percorsi di cura o assistenza domiciliare mirati.
ENTRO FINE 2023 ALL’ASST SETTE LAGHI MANCHERANNO 180 INFERMIERI
Il problema maggiore con cui si scontra il commissario Micale attualmente è la carenza di personale: « Parliamo soprattutto di infermieri – spiega – Nel nostro territorio abbiamo una situazione anomala: ci sono circa 5000 infermieri iscritti all’Ordine varesino contro i 5010 medici. La proporzione ottimale dovrebbe essere tre infermieri ogni medico. La nostra azienda avrà, entro fine anno, una carenza di 180 figure. Abbiamo già emesso il secondo bando di reclutamento del 2023. Purtroppo, però,l’offerta è davvero limitata. Io sono fiducioso che sia una carenza passeggera, legata alla quantità di fondi immessi in sanità con la pandemia. La momentanea quantità di risorse ha indotto tutte le strutture ad assumere personale, comprese quelle di aree del paese più fragili, con condizioni economiche deboli. Già dal prossimo anno, mi aspetto un ritorno al passato, quando i laureati arrivavano in Lombardia da diverse province d’Italia perchè qui si offrivano le uniche possibilità di assunzione. La Lombardia ha sempre avuto una situazione economica positiva, grazie anche a una pianificazione a lungo termine. Il bilancio della sanità è di quasi 21 miliardi di euro: la nostra azienda da sola ottiene circa 500/600 milioni di euro. Fondi che la nostra regione gestisce in modo oculato».
( Il commissario straordinario dell’Asst Sette Laghi Giuseppe Micale)
IL LAVORO DELL’INFERMIERE NON ATTRAE PIU’
Il cauto ottimismo del dottor Micale si scontra con alcuni indicatori negativi: per la prima volta l’ordine degli infermieri della provincia di Varese ha registrato una diminuzione di iscritti, inoltre ai test d’ingresso ai percorsi universitari lombardi le domande sono spesso inferiori o coprono a stento i posti messi a disposizione del Ministero. Una vocazione che, almeno da noi, sembra smarrita: « È un problema anche di investimenti. L’Italia ha una spesa sanitaria tra le più basse. Gli stipendi sono inferiori alla media europea. Noi, poi, abbiamo vicino la Svizzera, un competitor molto attrattivo . Vanno studiati incentivi, un welfare attrattivo che li induca a rimanere. Io sto verificando alcune possibilità per offrire valore aggiunto ai nostri contratti: come lo studio per realizzare minialloggi nella palazzina di via Lazio di proprietà dell’ospedale così da offrire anche una sistemazione a prezzi calmierati. Vorrei trovare opportunità per assicurare ai dipendenti parcheggi, soprattutto in viale Monte Rosa, a prezzi contenuti. Ho proposto al sindaco di Luino di offrire dei benefit per i mesi estivi a medici, tecnici di radiologia e sanitari che volessero venire per l’estate sul lago, ottenendo facilitazioni in cambio delle prestazioni. È un’offerta che alcune località marittime della Romagna già fanno».
INFERMIERI RECLUTATI IN SUDAMERICA
In attesa di trovare la soluzione ottimale, il dottor Micale sta percorrendo anche la via “delle Americhe”: « Abbiamo avviato delle selezioni con infermieri del Paraguay e del Perù. Le trattative sono a buon punto. Ho chiesto al Prefetto assistenza per ottenere i documenti necessari mentre l’Università dell’Insubria potrebbe mettere a disposizione le proprie competenze per la formazione sul campo, sia linguistica sia di metodologia o farmaceutica. Personale sudamericano è già impiegato in alcune residente socio sanitarie come l’Opera Don Guanella a Barza».
Già una quindicina di anni fa, in un periodo di uguale carenza di personale, il dottor Micale, in qualità di responsabile dell’ufficio del personale dell’azienda ospedaliera varesina, aveva reclutato personale dai paesi dell’Est Europa.
Con la via sudamericana, al momento sarebbero in trattativa circa 7 infermieri ma l’obiettivo, dovesse funzionare il modello, è di arrivare a una quarantina.
PORTARE L’OSPEDALE SUL TERRITORIO
La sfida, al di là dei problemi di personale, è di costruire un nuovo modello che porti l’ospedale sul territorio: è un cambiamento culturale che costringerà tutti a rivedere le proprie convinzioni. Sia per i medici ospedalieri, che dovranno ritrovare motivazione a uscire sul territorio, sia per gli utenti che dovranno superare l’idea dell’ospedale come unico baluardo di sanità: « Ancora oggi – commenta Micale – molti cittadini preferiscono rivolgersi al CUP dell’ospedale per fissare un appuntamento, nonostante possano chiedere in farmacia, chiamare il centralino unico regionale, fare da soli on line. Rispetto a 10 anni fa, però, oggi ho trovato capi dipartimento molto più aperti al territorio rispetto al passato e c’è un notevole passo avanti verso il potenziamento dalla telemedicina che sarà sempre più importante. Occorre investire in informazione e formazione: nel Luinese, per esempio, attiveremo lo sportello unico PUA itinerante così da raggiungere diversi paesi del territorio e mostrare le novità».
La casa di comunità di Varese in via Monte Rosa
LA RETE OSPEDALIERA DOVRA’ SEMPRE ESSERE IN GRADO DI RISPONDERE ALLA DOMANDA DI SALUTE
Il nuovo modello di sanità porterà magari a una revisione della rete ospedaliera: «Io credo molto nel modello hub and spoke, con le alte specialità concentrare in pochi centri e i servizi di base diffusi. È chiaro che non si potrà fare tutto, dappertutto. Ma è necessario programmare perchè ci sia il servizio dove c’è il bisogno, in modo equo ed efficiente. Sono d’accordo con il principio, per esempio, di una cardiochirurgia ogni 750.000 abitanti: credo che in via orientativa a Milano potrebbero essere sufficienti due cardiochirurgia per coprire i fabbisogni . È un tema, però, di politica sanitaria regionale a cui spetta la programmazione. La riforma ha suddiviso il territorio in 8 ATS così da ottimizzare al meglio le risorse per rispondere al bisogno. La medicina non è più quella del secolo scorso, si è evoluta e i cambiamenti indirizzeranno verso nuovi modelli, più efficienti e sostenibili: programmare sarà indispensabile per poter far sì che il sistema regga».
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