Gabriele Albertini a Porto Valtravaglia: “Il restaturo di Palazzo Melli per lasciare qualcosa di buono e bello”
Presentato il libro che ripercorre le tappe della rigenerazione della seicentesca costruzione
Sembra proprio che a Porto Valtravaglia il giorno 16 del mese sia inevitabilmente, indiscutibilmente dedicato a Gabriele Albertini: dopo il conferimento della cittadinanza onoraria avvenuto il 16 agosto, quando poteva aver luogo la presentazione ufficiale del libro “Palazzo Melli, restauro e rigenerazione” in cui egli è il protagonista assoluto?
La risposta è scontata: il 16 settembre.
Giornata di certo non favorevole per l’inclemenza del tempo tanto da costringere il sindaco Ermes Colombaroli a programmare l’evento all’interno nel salone Colombo, ben sistemato con comode ed eleganti poltroncine viola bordeaux e pannelli espositivi di singolari, accattivanti fotografie di Pietro Rossi. Senza dimenticare la coincidenza con una manifestazione calamitante come il derby calcistico milanese che avrebbe potuto tenere lontano il pubblico, come sottolineato da Albertini stesso.
Ma le previsioni funeree sono andate deluse attraverso una consistente partecipazione di personalità e di pubblico, attento e partecipativo. La platea ha offerto uno schieramento massiccio delle autorità invitate, dal sindaco di Laveno Luca Santagostino, al vice sindaco di Luino Antonella Sonnessa, al sindaco di Brezzo di Bedero Daniele Boldrini, dal Maresciallo Maggiore Mario Russo Alesi, comandante della stazione dei carabinieri di Castelveccana, al capitano della Guardia di Finanza Gaetano Caliendo, fino al vice sindaco di Porto Valtravaglia Daniele Vecchio.
Dopo l’introduzione del sindaco Colombaroli e del consigliere con delega alla cultura Ornella Spozio, ha preso forma l’immagine del volume e la ragione della sua creazione nelle trainanti parole di Albertini che ha ricordato il suo legame con la famiglia Porta – sua madre è una Porta – risalente al Quattrocento.
L’origine seicentesca della casa è responsabilità di Daniele Melli che volle fosse edificata intorno al 1620-1630. Era figlio di quell’Orazio Melli che, avendo sposato una Porta – Giustina – acquisì la fusione familiare e il passaggio nominale di quello che è ora conosciuto come Palazzo Melli, sebbene dopo l’Ottocento passò da Pisoni a Lazzarini, fino all’acquisto nel 2010 da parte di Gabriele Albertini insieme all’amico e socio Marco De Angelis che decisero il ricupero dei “fatiscenti ruderi di Casa Melli”.
Gli spazi a quel punto sono lasciati ad altri interpreti, soprattutto allo storico Federico Crimi, il quale si lancia in una gustosa narrazione delle vicende cha hanno attraversato Porto Valtravaglia tramite il vissuto dei vari componenti della famiglia Melli, costellata da generazioni di notai che operavano al pianterreno, dove vigeva un imponente archivio, elemento irrinunciabile della professione.
L’architetto Chiara Montagnini va ad aprire un’altra finestra soffermandosi sul processo di restauro e di ricupero, durato oltre dieci anni, per scomporre il palazzo in dodici appartamenti di pregio e prestigio, dove fosse completato il disegno del passato, ma nel contempo fosse evidente il processo di consolidamento di alcune strutture e la valorizzazione di altre, con modifiche – il soffitto a cassettoni posizionato più in basso rispetto all’originale per favorire l’utilizzo di spazi più ampi in omaggio alle esigenze attuali – atte a evidenziare il cammino nei secoli.
Il libro è davvero piacevole, con testi sintetici ma colmi di tutte le informazioni che servono a qualificare la storia e gli ambienti nei quali la medesima si è sviluppata, con una serie di fotografie che inquadrano perfettamente l’osmosi passato/presente in modo tale da permettere al lettore di comprendere senza difficoltà l’iter del restauro.
Albertini nella sua premessa ha fatto un parallelo, pur con le dovute proporzioni, tra il suo intervento di restauro del “Sistema Teatro alla Scala” durante i suoi mandati come sindaco di Milano, e il restauro di Casa Melli, come significato per progetti e comunità molto diversi, ma accumunati da un medesimo anelito culturale: definisce l’accostamento bizzarro, ma non è tale perché è importante “lasciare qualcosa di bello e di buono per il dopo e conservare l’eccellenza di ciò che hanno fatto i nostri antenati”.
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