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Don Luciano, parroco a Sesto Calende con la Terra Santa nel cuore

Soltanto sei mesi fa, viveva a Gerusalemme. Oggi a Sesto Calende una nuova missione che inizia «Dal conoscere e dall’ascoltare le persone». L'intervista di Lorenzo Franzetti

don luciano sesto calende

Sesto Calende, di lunedì, è una città che corre. Sotto un cielo grigio, auto in continuo passaggio sulla Statale, parcheggi pieni, rumori di vita impaziente, a pochi passi da un fiume, lento e placido, che non desta interesse nemmeno nei pensionati più romantici. Il vento ha soltanto odore di gente che va di fretta. Qui, don Luciano Andriolo è il nuovo parroco. I suoi uffici sono un continuo squillare di telefoni e citofoni, ma dentro al suo studio, con il suo approccio pacato, ma deciso, abbassa i ritmi e si circonda di silenzio e pensieri. Per spiegare al meglio chi è e da dove viene. «Siamo abituati, ormai, a una società dove tutto è giudicato per quello che produce. Ogni persona e ogni cosa viene classificata per quanto è utile. Bisogna servire a qualcosa, soprattutto qualcosa che abbia un valore produttivo. Il Vangelo, invece, ci invita anche a essere servi inutili, mi colpisce molto questo esempio. Io, come sacerdote, voglio essere servo per amore e con amore. Dio ci ama per quello che siamo, non per quello che produciamo». Luciano è nato a Cantello, oggi arriva a Sesto Calende dopo un lungo percorso personale, geografico e spirituale.

Soltanto sei mesi fa, viveva a Gerusalemme: «E pensare che la parola “Gerusalemme” significa città della pace. Oggi è più che mai simbolo di un’umanità che non è mai in pace, ma è sempre in conflitto. Forse Dio ha voluto che proprio lì, ci fosse una città simbolo dell’umanità, umanità con la sua grandezza e la sua miseria. Una città distrutta e ricostruita decine di volte, ma che ha dimostrato che le tre grandi religioni, il Cristianesimo, l’Islam e l’Ebraismo possono convivere in pace, finché la politica, in particolare gli estremismi, non vanno ad alterare e a rompere questo equilibrio».

Il lungo percorso di un prete: da Cantello a Gerusalemme, fino a Sesto Calende

La vita ha il suo percorso, c’è un disegno a noi sconosciuto che si compie, giorno per giorno: «Dio ha i suoi tempi», risponde don Luciano con la saggezza di un sacerdote di 67 anni e l’energia di chi ne dimostra almeno dieci di meno. Lui aveva un progetto in mente, un eremo in città, ma il cardinal Delpini l’ha chiamato al servizio di una comunità ai confini della diocesi. Don Luciano ha la passione per il luogo di confine: «Spingermi verso il confine, vuol dire confrontarmi con le periferie esistenziali, culturali. Qui, in realtà, trovo una città che ha una bella ricchezza associativa, arrivo in un territorio con una storia e una tradizione religiosa, culturale e sociale». Ma dal punto di vista spirituale, molti territori di provincia sono effettivamente periferia. Dove il fare, il produrre, l’agire prende il sopravvento nella vita in ogni momento. La questione della spiritualità torna spesso nelle parole di don Luciano mentre racconta la sua vita e il suo percorso. Una spiritualità che è ascolto, ascolto del Vangelo e di sé stessi, ma che porta a un impegno.

don luciano sesto calende

Eremo e città, solitudine e comunità, due opposti che in realtà convivono: «Per un periodo, anni fa, sono stato custode all’eremo di San Salvatore, dove riposa la salma di Giuseppe Lazzati, altra figura molto importante per me». Dall’eremo di San Salvatore alla parrocchia multietnica e complessa di un quartiere di Milano, dal seminario accanto ai futuri sacerdoti alla comunità giovanile da far crescere: se le vie del Signore sono infinite, quelle percorse da don Luciano sono quanto meno molto varie. E ora, dall’orto del Getsemani alle rive del Ticino, un altro bel salto: «Gestire una parrocchia come quella di Sesto Calende è una cosa piuttosto complessa. La paura che avevo prima e la preoccupazione che ho anche ora è quella di ridurmi a fare soprattutto il manager, poiché le questioni organizzative, burocratiche, fiscali non sono poche. Tuttavia, costruendo una buona squadra di laici, in una realtà già molto attiva, la gestione diventerebbe meno pesante e io riuscirò a concentrarmi sulla mia vera missione, quella spirituale e di annuncio del Vangelo».

L’esperienza in Terra Santa è un bagaglio in più da condividere anche con i fedeli della comunità sestese: «Ho vissuto per dieci mesi contemplando i tramonti dall’orto degli ulivi. Abitare nella città santa, vivere in uno dei luoghi più drammatici della vita di Gesù è sicuramente un’esperienza molto significativa. Ho potuto confrontarmi, vivere in un luogo dove passa tutto il mondo. Lì si tocca con mano l’idea della chiesa universale, il confronto quotidiano con le altre confessioni cristiane, non soltanto quella cattolica, è importante. Come è un’esperienza forte e intensa il convivere con le altre grandi religioni, con la loro spiritualità che non sento mia, che non è della mia cultura, ma che ha comunque una grande bellezza».

Quella bomba a Varese e la scelta di annunciare il Vangelo

Convivere con le diversità, riflettere su un’umanità in conflitto perenne, difendere l’importanza di una spiritualità nel nostro tempo, ritrovare la forza nei valori del Vangelo. Un po’ tutto il percorso di don Luciano ha delle costanti. A far nascere la sua vocazione, da giovanissimo, è stata proprio la ricerca di una risposta di fronte agli uomini in conflitto: «Ero uno studente delle superiori, frequentavo una scuola di Varese. Ogni giorno prendevo il treno e arrivavo in stazione. Una mattina, proprio lì vicino, scoppiò una bomba (era il 28 marzo 1974, ndr), al mercato: morì un fioraio e sua moglie fu gravemente ferita. Arrivai in stazione che era appena successo, ma quello che mi scioccava e mi turbava era quel clima molto pesante che si viveva in quegli anni in Italia e soprattutto a Varese». L’attentato era probabilmente di matrice neofascista: «Era l’espressione violenta di un disagio molto forte che si viveva anche nel mio piccolo mondo: ricordo benissimo i funerali di questo povero fioraio, a Casbeno, con il feretro che entrò in chiesa mentre fuori, due ali di folla scandivano slogan di destra o di sinistra. Tutto questo mi creò una sensazione di disorientamento: cominciai a domandarmi come potevo essere utile a questa umanità così divisa. E trovai la risposta: io potevo dare il mio contributo portando una buona notizia, ovvero il Vangelo».

don luciano sesto calende

«Carlo Maria Martini, il mio maestro»

Il momento chiave della vita di don Luciano, non solo da prete, fu l’incontro con Carlo Maria Martini: «Conservo come un grande dono la corrispondenza che ho avuto con lui, negli anni: da quando diventai sacerdote e oltre. Martini resta per me un grande maestro. Mi ha insegnato il valore di una spiritualità che si fa carico del vissuto, dentro la storia». Nel 1982, da giovane sacerdote, don Luciano aveva fatto crescere una comunità giovanile in un contesto non semplice, a San Donato Milanese. Con i suoi ragazzi fu convocato dall’allora cardinal Martini, che voleva confrontarsi con una realtà cresciuta molto e bene in poco tempo. Quello fu un incontro che si porta nel cuore: «Andai da lui con cento giovani e tantissime domande. Lui, da sempre, rispondeva a tutti: e così fece anche quella volta. Ci impressionò per il suo stile dialogante, aveva una straordinaria capacità di ascolto». Il saper ascoltare è un insegnamento prezioso, quasi si commuove mentre ne parla don Luciano: oggi, in questa società si comunica molto ma si ascolta molto poco, l’esempio di Carlo Maria Martini è più attuale che mai. In un presente bombardato di informazioni, di giudizi e messaggi di ogni tipo, una proposta spirituale è necessaria, magari in un luogo di silenzio, di ascolto e di meditazione vera del messaggio del Vangelo. Il progetto di don Luciano è sempre lì. «Ma Dio ha i suoi tempi». E ora, a Sesto Calende, da dove si comincia? «Dal conoscere e dall’ascoltare le persone».

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Pubblicato il 02 Novembre 2023
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