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Il presunto assassino di Giulia poteva essere uno di noi. È la cultura patriarcale che alimenta la violenza di genere

Palazzo Verbania al completo per "Alzare lo sguardo", una riflessione sulla violenza sulle donne da parte di amministratori locali, giuristi, rappresentanti delle forze dell'ordine, criminologi, giornalisti e giovani studenti

Palazzo Verbania a Luino

Giovani non “educati” al valore della sconfitta e alla sua gestione. Giovani non ancora “depurati” da una cultura maschilistica e tossica. E ancora: l’importanza del contesto sociale per arginare il fenomeno, il ruolo cruciale della famiglia, la pressione dei media e delle piattaforme social che indugiano su particolari e dati che raccontano la violenza di genere in modo morboso, tutt’altro che educativo. L’assenza della voce maschile nel dibattito e soprattutto nei percorsi di cura.
(nella foto da sinistra: il sindaco di Luino Enrico Bianchi, la conduttrice dell’incontro la giornalista Ilaria Notari e la consigliera comunale Valeria Squittieri)

SALE IL NUMERO DEI FEMMINICIDI
Questi sono solo alcuni dei temi approfonditi durante l’incontro “Alzare lo sguardo” tenutosi domenica 19 novembre a Palazzo Verbania di Luino. Sala al completo in un pomeriggio di conversazione sulla violenza di genere con esperti del settore giuridico, associazioni, studenti e specialisti. Il tutto a poche ore dalla notizia dell’ennesimo femminicidio consumato in Italia che porta il numero di donne assassinate dall’inizio dell’anno, in quello che ci ostiniamo a chiamare Belpaese, a quota 105. Un tragico primato che impone a tutta la società di «alzare lo sguardo», come ha ricordato il sindaco di Luino Enrico Bianchi nel presentare l’iniziativa. Come dire: queste morti riguardano tutti noi, ci appartengono. Nessuno escluso.
I dati forniti da Rina Di Spirito, cofondatrice e operatrice del Centro antiviolenza “Donna sicura” di Travedona Monate, collegato al circuito nazionale, ci dicono che la nostra provincia non è esente da questo fenomeno inquietante. «Sono ormai centinaia le donne che si rivolgono a noi. Un trend in crescita» sottolinea Di Spirito.
Non è solo un fenomeno italiano. È l’intero Vecchio Continente il teatro di questo spettacolo indecente tanto che il Consiglio d’Europa ha recentemente affermato che una donna su quattro subisce violenza dal proprio partner o ex partner nel corso della vita.

POTEVA ESSERE UNO DI NOI
Le leggi in Italia ci sono, e anche di buon livello. Alla giornata di Luino erano presenti magistrati e giuristi di rango che dialogando con il vicedirettore di Varesenews, Michele Mancino, hanno affrontato il tema della comunicazione in relazione alle vittime di reato. Olimpia Bossi, magistrato a capo della procura di Verbania, ha sottolineato la tendenza attuale da parte dei media a privilegiare la ricerca morbosa dei dettagli, anziché fornire un racconto oggettivo ed educativo degli eventi.
Mentre Giuseppe Battarino, scrittore e giurista, ha aperto una riflessione sulla percezione che la società ha della realtà. Secondo Battarino, se confrontassimo il dato degli omicidi negli anni Ottanta e quello attuale, osserveremmo un calo drastico di questi reati.
Perché allora siamo così allarmati? Una ragione c’è. E i due giuristi la spiegano bene: Filippo Turetta, fidanzato e presunto omicida di Giulia Cecchettin «poteva essere un nostro figlio, un nostro nipote, uno di noi. Così normale che sicuramente non l’avremmo mai intercettato».

Palazzo Verbania a Luino
il confronto tra boomers e generazione zeta

VITTIME DI UNA CULTURA PATRIARCALE
Ci sono poi modelli consolidati che diventano montagne da scalare. «Speso accade che donne, anche con un livello culturale molto alto, si vergognano di raccontare quello che subiscono» ha osservato Olimpia Bossi. Il cuore del problema è dunque una cultura patriarcale consolidata e pervasiva che va scardinata dalle fondamenta.
Ma come intervenire quando l’apparente normalità nasconde un modello così radicato? Il confronto tra l’avvocata boomer, Antonella Sonnessa, e cinque ragazzi luinesi della generazione Zeta, ha messo a fuoco la percezione del fenomeno di questi ultimi che sono più consapevoli di quanto si pensi.
Tre risposte su tutte: non dimentichiamo le streghe del Medioevo che venivano perseguite in quanto donne che ribaltavano un ordine gerarchico; c’è una cultura condivisa che alimenta tutto questo, se pensiamo che in Italia fino al 1981 si legittimava il delitto d’onore con una pena molto attenuata in caso di adulterio; c’è un contesto sociale, amici e parenti compresi, che fanno finta di non vedere. «Se un mio amico manifestasse pensieri di questo tipo, lo accompagnerei subito in un luogo adatto per farsi curare».
È vero, l’inizio della cura, in molti di questi casi, è anche una questione di prossimità sociale.

FAR PARLARE GLI UOMINI VIOLENTI
Il femminicidio si inquadra dunque in un contesto culturale favorevole. Ma per cambiare la cultura di una comunità ci vuole molto tempo perché bisogna agire nel profondo del corpo sociale, alimentando costantemente alcuni valori su cui far nascere una nuova consapevolezza.
L’intervento del criminologo Paolo Giulini ha spostato il focus dell’incontro sull’uomo che ha agito la violenza. Uno scarto culturale che di primo acchito può sorprendere, eppure essenziale per chi è chiamato a prevenire il fenomeno e a curare le persone.
Il suo lavoro clinico si svolge nell’ambito della cooperativa Cipm, acronimo che sta per Centro italiano per la promozione della mediazione, di cui è presidente.
Il suo è uno studio ha due obiettivi: capire che cosa alimenta la violenza maschile e  saperne riconoscere i segnali con un certo anticipo. «La nostra legislazione in tema è molto buona – ha detto il criminologo – Uno strumento di prevenzione importante è l’Ammonimento da parte del questore perché permette di tutelare le vittime di violenza domestica, atti persecutori e cyberbullismo in modo anticipato e rapido rispetto al processo penale. È un’azione preventiva che, quando viene messa in campo, funziona».
Secondo Giulini, è importante lavorare in rete sui territori con tutti gli operatori: dai comuni alle questure, passando per le associazioni e i privati. In provincia di Varese è stato da poco attivato il protocollo Zeus con in primi ammoniti inviati al Cipm.

L’ARTE È UNO STRUMENTO EFFICACE
L’arte su questo fronte può aiutare molto, non a caso in apertura dell’incontro la consigliera comunale Valeria Squittieri ha letto una poesia di Alda Merini, un’artista che ha pagato a caro prezzo il suo essere donna fuori dagli stereotipi.
L’arte, come le donne, generatrice di bellezza e verità, può dunque salvare il mondo.
La splendida voce del soprano Aurora Mancuso, che ha interpretato “Lascia ch’io pianga” di Georg Fredrich Haendel e “Ave, Desdemona”, dall’ Otello di Verdi, e la lettura scenica di atti processuali della giovane attrice Sofija Zobina, su drammaturgia di Giuseppe Battarino, hanno regalato intense emozioni al pubblico presente a Palazzo Verbania. Durante tutta la serata è stato esposto un dipinto della scultrice Elena Rede, prestato per l’occasione dalla sua collezione privata per l’importanza del tema trattato.

Palazzo Verbania a Luino
nella foto da sinistra: Giorgia Minotti e Valeria Squittieri

ASCOLTARE E ACCOMPAGNARE
Le conclusioni dell’evento sono state affidate a Giorgia Minotti, direttore tecnico superiore psicologa della Polizia di Stato, che ha ricordato l’importanza dell’ascolto, della vicinanza e dell’accompagnamento nel percorso di emersione e di uscita dai contesti familiari violenti. Un percorso rispetto al quale le forze dell’ordine hanno fatto passi da gigante in termini di sensibilità e capacità di azione, grazie anche alla presenza delle donne nelle loro fila.

Pubblicato il 21 Novembre 2023
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