Aprile 1924: per le elezioni la violenza fascista si scatena sugli oppositori, anche in provincia di Varese
Assalti ai circoli e ai giornali colpiscono i "rossi", i repubblicani, il partito popolare cattolico. Claudio Mezzanzanica, partendo dalle relazioni dei commissari prefettizi, ricostruisce il clima d'intimidazione, in una zona ancora non piegata dal regime
Di Claudio Mezzanzanica
Alla fine di ottobre del 1922, dopo la marcia su Roma, Mussolini aveva accettato l’incarico di formare il governo con la garanzia di ricevere i pieni poteri. Ai primi di dicembre Il re Vittorio Emanuele III firmò il decreto che glieli concedeva. Il governo poteva gestire l’ordine pubblico e una serie di misure, anche economiche, senza passare per il Parlamento ma rimaneva l’obbligo di approvazione per una serie di altre materie.
Nel Parlamento eletto nel 1921 i fascisti erano una forza estremamente minoritaria, con soli 35 deputati eletti nel Listone Nazionale. Mussolini aveva bisogno di controllarlo interamente perciò decise di scioglierlo e di indire le elezioni nella primavera del 1924. Diciotto mesi di poteri speciali avevano permesso di ridurre a poca cosa le organizzazioni legate al Partito Socialista, al Partito Comunista e ai Popolari ma distruggere le organizzazioni politiche avversarie non era sufficiente per vincere le elezioni. Il mondo del lavoro rimaneva ancorato ai suoi ideali e ai suoi leader.
Mussolini ne aveva continui riscontri, anche a Varese.
I commissari prefettizi che avevano sostituito i sindaci eletti nel 1920 e rimossi dopo la marcia su Roma mandavano rapporti preoccupanti. Alla fine del 1923, il commissario di Induno Olona scriveva che se si fosse votato per il rinnovo del Consiglio Comunale i socialisti avrebbero stravinto nonostante i leader fossero emigrati e la sezione non svolgesse più attività da tempo. Addirittura anticipava espressamente questi risultati: i voti ai socialcomunisti sarebbero stati 450, ai liberaldemocratici 180, ai popolari 70 e ai fascisti 30! Altri commissari stendevano analoghe previsioni da Arcisate, Casciago, Besozzo.
La prima mossa del regime fu la promozione di una legge truffa, passata alla storia come legge Acerbo dal nome del suo promotore. La lista che avesse superato il 25% dei voti avrebbe incamerato il 66% dei seggi parlamentari. La legge passò con il voto decisivo della maggioranza del gruppo parlamentare dei Popolari.
Ma anche questo non bastava per garantire il successo ai fascisti.
Nei mesi immediatamente precedenti le elezioni, ricominciarono quindi gli assalti e le bastonature nei confronti degli avversari politici. A febbraio, l’ex sindaco socialista di Varese Luigi Cova fu picchiato per strada mentre altri tre ex consiglieri comunali socialisti venivano arrestati e tenuti in prigione per alcuni giorni, senza neppure un’accusa. Il periodico cattolico “Luce”, unica pubblicazione non fascista ancora tollerata, veniva sequestrato nei paesi intorno a Varese. Militanti fascisti si recavano a casa degli uomini e delle donne che ne organizzavano la distribuzione nelle parrocchie e requisivano le copie, terrorizzando i cittadini. Anche i circoli non furono risparmiati. Tra gennaio e marzo furono assaliti quelli di Cazzago Brabbia, Lozza, Bregano e Bizzozzero.
Con l’avvicinarsi della data delle elezioni si intensificarono le azioni di sabotaggio. A Varese città, sia la sede del Partito Repubblicano che quella del Partito Popolare furono assaltate di notte e tutto il materiale propagandistico distrutto. La stessa sede del periodico Luce fu assaltata in pieno giorno alla vigilia del voto, impedendo l’uscita del giornale il sabato immediatamente precedente le elezioni del 6 aprile 1924.
I fascisti si mossero anche per esercitare il pieno controllo della macchina elettorale. Tutti gli scrutatori delle precedenti elezioni furono sostituiti esclusivamente con membri o simpatizzanti del partito fascista. Per quanto riguarda i segretari di seggio, nell’archivio comunale di Varese si trova la richiesta del PNF di sostituire quelli che si sono prenotati. Figure integerrime come il notaio Luigi Zanzi o Armando De Felice dovevano essere sostituiti “[…] perché i prenotati, quasi tutti, rappresentano un inciampo al nostro lavoro” scriveva la segreteria cittadino del PNF. Il segretario comunale si affrettò ad eseguire la richiesta del Partito Fascista.
Come denuncia Giacomo Matteotti, nel celebre discorso alla Camera che lo porterà alla morte, abbiamo l’impedimento di ogni attività elettorale per le opposizioni, il totale controllo dei seggi e la presenza della milizia fascista fuori dai seggi ad impedire il voto con minacce e botte agli esponenti più in vista della sinistra.
Eppure a Varese e in tutta la provincia questo non basterà a dare il successo al fascismo.
La Lista Nazionale, di cui facevano parte i fascisti, in Varese città raggiunse il 39%, risultato ben lontano dal 68% nazionale. La sinistra si fermò al 27% ma a fermarla fu l’annullamento dei voti. A Varese il 10% dei voti fu annullato e questo avvenne in primo luogo nei quartieri operai: a Valle Olona i voti annullati furono il 21%, in via Sacco il 5%. In tutta la provincia ci furono cancellazioni vistose.
A Lonate Pozzolo fu cancellato il 20% dei voti, a Malnate il 19%, a Verghera addirittura il 21%.
A Malnate nei verbali fu letteralmente cancellato il Partito Popolare che avrebbe raccolto solo lo 0,4%. Non solo ma ci furono comuni dove il Listone Nazionale non fu neppure il primo partito: accadde a Gorla Minore, Cislago, Voldomino. A Busto Arsizio comunisti e socialisti raccolsero il 55%, la Lista Nazionale il 27%., a Castellanza il 48% contro il 25%, a Gorla Maggiore il 51% contro il 36%.
E tutto questo nonostante il controllo dei seggi, le bastonature, gli assalti alle sedi dei partiti e le intimidazioni. Questo era il lavoro che non doveva trovare inciampi.
Nel Nord del paese Mussolini aveva la conferma di non avere l’appoggio della classe lavoratrice. Ne era consapevole al punto di aver truccato il meccanismo elettorale. La voce di Matteotti si alzò forte e chiara a denunciare il fatto. E poteva farlo sapendo che gran parte dell’Italia non era fascista e neppure Varese, come abbiamo visto. Peccato che un pezzo della vulgata storica, piuttosto superficialmente, abbia raccontato il contrario.
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