17 maggio 1978: entra in vigore la Legge 180, che chiuderà per sempre i manicomi
Detta anche Legge Basaglia, portò una rivoluzione nella cura e assistenza delle malattie mentali
I manicomi erano luoghi di esclusione nei quali, secondo la legge règia del 1904, dovevano essere internate non solo le persone pericolose per le proprie tare mentali, bensì anche quelle che davano pubblico scandalo. Virtualmente quindi, fino al 1978, anche i portatori di sindrome di Down, gli alcolisti e gli epilettici, oppure i semplici portatori di tic motori o vocali particolarmente evidenti, potevano essere rinchiusi in un ospedale psichiatrico e con ciò privati di tutti i propri averi (comprese le fedi nuziali) nonché di tutti i diritti civili.
Franco Basaglia fu un brillante ed ambizioso psichiatra allievo a Padova di Giovan Battista Belloni, che lo invitò ad assumere la direzione del manicomio di Gorizia nel 1961.
Veneziano e antifascista, egli aveva fatto l’esperienza del carcere durante la guerra. Quando dunque giunse a Gorizia e visitò per la prima volta il manicomio che avrebbe dovuto dirigere, fu immediatamente assalito dalla “puzza di merda” rancida e dalla visione dei malati, spesso legati ed agonizzanti nei propri stessi escrementi. Ne rimase sconvolto. Da allora Basaglia si decise a lottare non per la riforma, bensì per una legge che abolisse per sempre quella che lui considerava un’istituzione senza senso: il manicomio era un ‘lager’ nel quale gli individui entravano per essere annichiliti in modo da non nuocere alla società.
Le violenze e le terapie distruttive in questi luoghi erano all’ordine del giorno.
Nei luoghi dove operò Basaglia come primo atto di riforma (peraltro non autorizzata) venne distrutto l’archivio con le schede attraverso le quali si catalogavano i pazienti. Siccome poi il manicomio era un luogo di alienazione, a Gorizia si iniziarono a distruggere le barriere tra i vari reparti, i muri, le reti di protezione e si convocarono assemblee nelle quali Basaglia si sforzava di far emergere i conflitti. In questo modo l’equipe psichiatrica, che non portava camici e che virtualmente era indistinguibile dai pazienti, fu in grado di discernere chi aveva una vera malattia mentale da coloro che erano malati lievemente oppure del tutto sani.
Il pensiero psichiatrico di Basaglia può essere considerato di stampo anglosassone (e forse con una qualche radice culturale sudafricana) perché era ispirato alle esperienze scozzesi di Maxwell Jones e da quelle, sempre nel Regno Unito, di David Cooper e Ronald Laing.
Gorizia crebbe velocemente e diede un frutto sia in nuove realtà psichiatriche come quelle di Trieste, Colorno, Arezzo e Perugia, sia con la crescita di nuovi leaders: fra i tanti nell’equipe di Basaglia si possono ricordare Franca Ongaro (la moglie) e Giovanni Jervis, uno psichiatra di valore che fu un collaboratore stretto benché non esattamente un discepolo di Basaglia.
Da punto di vista politico la Legge 180 fu poi figlia legittima della contestazione del Sessantotto senza la quale né la legge, né bestsellers del tempo come il libro “L’istituzione negata” (curato da Jervis) che ebbe una tiratura spropositata, sarebbero mai esistiti.
Va detto che dal punto di vista giuridico la 180 morì in fasce. All’inizio di maggio del 1978 infatti, nei giorni caotici immediatamente successivi al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse, essa fu approvata in fretta e furia per evitare che venisse indetto il referendum abrogativo della legge règia, promosso dal Partito Radicale di Marco Pannella, il quale avrebbe potuto portare ad un pericoloso vuoto legislativo. Politicamente essa fu frutto proprio di quel compromesso catto-comunista che i brigatisti volevano combattere.
Già alla fine del ’78 però la Legge 180 confluì nella meno conosciuta ma giuridicamente più importante Legge 833, che istituiva in Italia il Servizio Sanitario Nazionale.
A Varese, dove pure era giunta la forte eco dell’esperienza basagliana, non risulta che ci fossero psichiatri con un’esperienza diretta di “comunità terapeutica” secondo lo stile di Gorizia. Ci fu invece a Gorizia, negli anni Sessanta, uno psichiatra varesino oppositore dei metodi di Basaglia. Proprio a lui, Vittorio Alì, toccò di firmare nel 1968 il permesso per tornare a casa di Alberto Miklus, un paziente psichiatrico che pochi giorni dopo uccise la moglie a martellate. Nella città giardino era invece diffusa in quegli anni la cosiddetta Psichiatria di settore, una scuola francese di grande avanguardia guidata da Edoardo Balduzzi. Essa, diversa dall’approccio basagliano, puntava sul decentramento e sulle piccole realtà psichiatriche per curare i malati di mente ed evitare, se possibile, l’internamento in manicomio.
Scheda libro:
John Foot – “La Repubblica dei Matti, Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978” – Feltrinelli – 2017
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