Nel 1944 un naufragio nel Lago Maggiore costò la vita a sei giovani di Taino e Angera
La loro storia, di cui si conosce ancora poco, è stata ricostruita e raccontata da Nello Grossi che con la moglie Maria Teresa ha incontrato i discendenti delle vittime e ritrovato il luogo dove avvenne la tragedia
Ci sono storie dimenticate, nascoste sotto uno strato di polvere o stipate soltanto nei ricordi di chi le ha vissute. Quella in cui si è imbattuto Nello Grossi, pensionato angerese, impegnato per passione personale in una ricerca dedicata ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, è una di queste. Ed è una storia drammatica di cui pochissimo oggi si conosce ma che rappresenta un pezzo di storia del territorio che va ben oltre la cronaca dei tempi. Parte da un particolare senza il quale, probabilmente, questa storia sarebbe rimasta nascosta nei racconti di qualche anziano del Basso Verbano. «Ero al cimitero di Angera, alla ricerca di tombe dedicate ai caduti per la mia ricerca – racconta Nello – quando l’occhio mi è finito su quella della famiglia Soma che riportava la foto di due giovani in divisa militare: Serafino e Pietro. Deciso a saperne di più ho provato a risalire a possibili discendenti. È così che ho incontrato una nipote che mi raccontò una vicenda molto singolare e tragica. Sì, i due giovani erano fotografati entrambi in divisa ma solo uno, Serafino (classe 1914, sergente di marina telegrafista) morì in guerra, disperso in mare nell’affondamento dell’incrociatore Pola il 29 marzo 1941».
Un fratello morto nel mare, l’altro nelle acque del Lago Maggiore
Una tragica coincidenza, scoprì Nello poco più avanti: «L’altro fratello, Pietro, appariva anch’egli in divisa ma non morì in guerra. Morì però, proprio come Serafino, annegato, questa volta nelle acque tempestose del Lago Maggiore il 4 gennaio 1944. Le ricerche che mi hanno portato a documentare la fine di questi due giovani mi hanno permesso però di ricostruire una vicenda molto più ampia». Dai documenti degli archivi parrocchiali Nello è risalito non solo alle cause della morte di Pietro ma anche alla notizia di altre persone coinvolte in un naufragio avvenuto poco distante dalle rive di Arona in quella fredda giornata d’inverno. Ma cosa ci faceva l’angerese Pietro su una barca partita da Arona nella stagione più fredda? E chi c’era con lui?
La risposta era nascosta nelle pagine dei registri della Parrocchia: «Sfogliando il documento trovai altre due persone morte lo stesso giorno Adriano Fioretti e Italo Maffini, entrambi “annegati per disgrazia nel lago”. Provai quindi a ripetere la ricerca a Taino e trovai altri tre nomi Lorenzo Tacca, Giovanni Cogliati ed Enrico Mira, morti “per annegamento per essersi rovesciata la barca per il forte vento, sulla quale vi erano tre tainesi e tre angeresi, reduci del lavoro presso la SIAI Marchetti di Sesto Calende”. Una tragedia enorme, erano tutti giovanissimi e vennero ripescati alcuni giorni dopo abbracciati tra loro. Solo uno del loro gruppo si salvò perché non si imbarcò per svolgere una commissione».
La ricerca di Nello Grossi ha permesso di ricostruire i contorni del naufragio ma anche di risalire alle cause e ai discendenti delle vittime che avevano sentito tramandare l’accaduto da nonni e genitori. La pubblicazione “Ricordo di sei giovani lavoratori della Siai Marchetti” è importante perché raccoglie e “mette in salvo” queste testimonianze dirette ma ricostruisce inoltre le informazioni sul luogo dove i sei ragazzi lavoravano, un distaccamento aronese della Siai Marchetti.
Sei giovani vite spezzate mentre rientravano dal lavoro
Particolare quest’ultimo fondamentale perché ha permesso di risalire al punto da cui l’imbarcazione partì e poco dopo venne inghiottita dal lago in tempesta. Si tratta di un edificio, ancora presente ma abbandonato, situato nella periferia aronese in via Valle Vevera, distante dal porticciolo circa due chilometri tutti in salita». A ricostruire quella vicenda in modo accurato è, tra le testimonianze, quella di Magda Cogliati, ex sindaca di Angera:
“Era il 4 gennaio, penultimo anno guerra che avrebbe riservato ancora tanti dolori e tante perdite anche nei nostri paesi. Un gruppo di uomini, quasi ancora ragazzi, che lavoravano alle dipendenze della Siai Marchetti di Sesto Calende, vennero delocalizzati in una sede presso Arona per la produzione di specifico materiale bellico. I loro mezzi di trasporto erano le biciclette per raggiungere Angera, il battello o la barca, su cui caricavano le biciclette con le quali raggiungevano il posto di lavoro distante circa 2 km da Arona. Non era un percorso semplice, non breve e soprattutto non privo di pericoli per i tempi ancora inquieti a causa della guerra. Questo il loro viaggio abituale. Purtroppo però la sera del 4 gennaio, una sera particolarmente fredda e ventosa giunsero al porto di Arona per il rientro, quando il battello stava per partire. L’alternativa era solo la barca su cui caricarono le biciclette e si apprestarono così ad attraversare il lago. Possiamo solo immaginare la paura e la preoccupazione ad affrontare quella traversata, ma l’urgenza di tornare alle loro famiglie fu più forte. Purtroppo il carico eccessivo, il vento forte, i movimenti impediti dai pesanti abiti invernali furono concause che determinarono il rovesciamento della barca e l’ inabissamento doloroso di quelle povere vite. Questo è il triste racconto che ho frequentemente sentito da piccola per bocca dei miei nonni, i genitori di Adriano fioretti. Inutile dire quanto questa tragedia abbia inciso sui miei ricordi e le mie paure di bambina: il lago nero, la paura dell’acqua profonda, ma soprattutto la frase che spesso mia nonna ripeteva: “i figli si sa quando escono, ma non si sa se tornano“. Grazie a Maria Teresa e nello Grossi ho potuto aggiungere un frammento ai miei ricordi: il luogo dove quei poveri ragazzi hanno trascorso la loro ultima giornata di vita”
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