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Le Pmi non sanno comunicare e la sostenibilità diventa una sfida tra valore e obblighi

La sostenibilità non è solo un dovere o una moda, ma un megatrend che può creare valore economico. Tuttavia, senza un approccio strategico, si rischia di diventare solo un costo inutile

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«Spesso si parla di sostenibilità come un obbligo o una moda, ma la realtà è un’altra: la sostenibilità è un megatrend che incide profondamente sul mercato e sul tessuto imprenditoriale, in particolare per le piccole e medie imprese. Tuttavia, deve essere affrontata con un approccio pragmatico: ha senso solo se genera valore economico». Pierdavide Montonati, consulente di What Matters, è diretto come un treno. Quando si parla di sostenibilità e criteri ESG per le piccole imprese, non lascia spazio ad ambiguità, perché potrebbero risultare pericolose per la stessa tenuta delle aziende. «Se la sostenibilità crea valore nel medio-lungo termine, allora è una leva strategica da integrare nel modello di business. Altrimenti, diventa solo un costo inutile» ribadisce di fronte a una platea di imprenditori riuniti nella sede di Smartt Valley a Daverio, in occasione dell’evento organizzato da Confapi Varese dal titolo “ESG 2025: la sostenibilità delle PMI italiane tra sfide globali e opportunità future”.

LE PMI NON SANNO COMUNICARE

E Come spesso accade, le piccole imprese italiane sono virtuose ma non nel comunicarlo. Hanno la sostenibilità nei loro valori aziendali, ma guai a parlarne. E così non capitalizzano gli sforzi produttivi, finendo per subito uno svantaggio competitivo rispetto alle grandi aziende, che invece formalizzano e promuovono le proprie iniziative sostenibili con grande enfasi . Secondo Montonati, se la sostenibilità è ben gestita, non è un costo ma un investimento: «Dati recenti dimostrano che le società Benefit, ovvero quelle che inseriscono la sostenibilità nel loro statuto, registrano performance superiori in termini di redditività e produttività».
Confapi, che si sta muovendo in questa direzione, conosce bene le difficoltà che una piccola impresa deve affrontare per adeguarsi ai megatrend, come appunto la sostenibilità. Roberto Di Francesco, intervenuto all’incontro nella doppia veste di imprenditore e amministratore delegato di Api Servizi – azienda del gruppo Confapi che supporta le imprese nel percorso ESG – ha evidenziato un rischio fondamentale: «Non stiamo affrontando un solo megatrend, ma almeno due contemporaneamente: la sostenibilità da una parte e la digitalizzazione dall’altra, entrambi inevitabili».
Secondo Di Francesco, in questa fase «non basta solo capire e formalizzare, ma bisogna anche implementare. E questo richiede risorse e strumenti che spesso le Pmi non hanno».
I modelli esistono, ma le dimensioni ridotte delle imprese rendono difficile individuare soluzioni su misura. Per questo, le associazioni di categoria dovrebbero andare oltre la semplice comunicazione delle normative e accompagnare le aziende in un percorso concreto di crescita, sia in termini di sostenibilità che di digitalizzazione.
Rimane il problema della comunicazione. Le imprese, soprattutto le piccole, non sono abituate a raccontare ciò che fanno, e questo rappresenta un ostacolo, soprattutto alla luce della reportistica richiesta dall’Unione Europea, come spiegano Giovanna Villa e Federico Calloni di CSR Consulting srl: «Abbiamo imparato che gli italiani sono sostenibili, ma devono anche imparare a dirlo e a raccontarlo. La reportistica sulla sostenibilità è un documento fondamentale perché si integra con il bilancio delle Pmi, solitamente molto più sintetico rispetto a quello delle grandi aziende».

LA SOLUZIONE ARRIVA DAL TERZO SETTORE

Un modello di sostenibilità per le Pmi potrebbe essere mutuato dal terzo settore, in particolare dalle imprese sociali, che da sempre fanno della sostenibilità integrale, cioè sociale, economica e ambientale, un pilastro del proprio modello di business. Non è un caso che Confapi abbia voluto portare tre esperienze significative legate al non profit: il progetto “Diamo lavoro” della Caritas Ambrosiana, presentato da Grazia Pradella e Sergio Tumino; il progetto “Famiglie” della cooperativa sociale Intrecci, illustrato da Oliviero Motta; e il caso di Labora.con, una rete di imprese per l’inserimento lavorativo, introdotto da Tiziano De Luca.
Le testimonianze hanno messo in evidenza hanno alcuni punti chiave: l’importanza della comunicazione, la necessità di una formazione continua e adeguata per tutti i soggetti coinvolti e la capacità di costruire una rete che coinvolga tutta la comunità e non solo gli stakeholder.

LA RESPONSABILITÀ DELLE AZIENDE

L’incontro si è chiuso con l’intervento dell’avvocato Luca Marsico, che ha illustrato il Decreto Legislativo 231 del 2001, il quale introduce in Italia una forma di responsabilità per le aziende che traggono vantaggio da reati commessi da membri della loro organizzazione. Marsico ha spiegato che «se un reato commesso da un dipendente va a beneficio dell’azienda, il pubblico ministero può contestarle una responsabilità penale, a meno che l’impresa non si sia dotata di un modello di gestione idoneo a prevenirlo».
«Il modello che le imprese devono adottare – ha proseguito Marsico – è un ombrello che le protegge dalle intemperie giuridiche. Ma non tutti i modelli sono efficaci, così come non tutti gli ombrelli proteggono allo stesso modo. Il modello deve essere un vestito su misura per l’azienda, individuando i reati a cui è più esposto e prevedendo norme comportamentali per prevenirli. Inoltre, la legge impone l’istituzione di un organismo di vigilanza per garantire che il modello sia applicato correttamente e conosciuto da tutti i dipendenti, a cominciare dai vertici per finire con l’ultimo assunto».

Pubblicato il 02 Marzo 2025
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