Dal New York Times a Casa De Rodis: Il volto dell’infermiera simbolo della lotta al Coronavirus
La foto di Monica Falocchi, capoinfermiera della Terapia intensiva agli Spedali di Brescia, in mostra a Domodossola
Da ormai una settimana a Domodossola gli occhi dell’infermiera Monica Falocchi di Brescia il volto simbolo della lotta al Covid scrutano i passanti della piazza Mercato. L’esposizione è organizzata dalla Collezione Poscio e curata Giuseppe Frangi con Casa Testori. Ad aprire la mostra in vetrina nella storica casa De Rodis dal titolo “umanomoltoumano” , 13 ritratti a Casa De Rodis, infatti è stato un dipinto realizzato per l’occasione da Barbara Nahmad: è il Ritratto di un ritratto (Covid-19, Brescia), realizzato a partire dalla foto di Monica Falocchi, capoinfermiera della Terapia intensiva agli Spedali di Brescia. L’infermiera non era a conoscenza dell’iniziativa e presto verrà a Domodossola.
Monica Falocchi è uno dei volti simbolo che hanno segnato i mesi dell’epidemia: infatti il suo volto, fotografato da Andrea Frazzetta, è andato sulla copertina del New York Times Magazine. I social spesso vengono in aiuto ai giornalisti e così dopo aver visto il ritratto, ero curiosa di conoscere la sua sensazione nel sapere che il suo volto ha ispirato i curatori della mostra “Umano molto umano”. L’ho contattata tramite Facebook e dopo aver chiesto l’amicizia, da lei accettata, ho inviato un messaggio con le domande dell’intervista alla quale gentilmente ha risposto.
Come sta da quando il suo volto è comparso sulla copertina del New York Times Magazin tutta la stampa ha parlato di lei. Sapeva dell’iniziativa di Domodossola? E’ gratificante sapere che le persone riconoscono il vostro ruolo?
“Non sono mai stata a Domodossola e non ero a conoscenza di quest’ iniziativa, ne sono lusingata . La domanda come sta? Mi mette più in difficoltà, non posso rispondere che sto male perché fisicamente, stanchezza accumulata a parte, non ho avuto alcun problema ma internamente la “ ferita’ di un periodo drammaticamente intenso non è ancora rimarginata. Non immaginavo che la fotografia scattata in un attimo rubato, sarebbe finita sulla copertina di una rivista di quella portata. Il tam tam mediatico mi ha sorpresa e in parte gratificata. Mi auguro solo di aver ben rappresentato la categoria che ha avuto la visibilità che merita. La professione infermieristica è una professione seria che richiede costante aggiornamento”.
Come è cambiata la sua vita dopo quest’esperienza? Quei suoi occhi spalancati sulla piazza sono già molto eloquenti. Un invito anche in questo tempo di libertà quasi ritrovata a non dimenticare quanto vissuto, vuole lanciare un messaggio?
“Non mi sento cambiata, solo più consapevole. Le conferme avute mi hanno arricchita. I miei occhi oggi vorrebbero esprimere libertà ritrovata ma non è così, non possiamo dimenticare, ci vuole rispetto per le vittime e per tutti coloro che si sono impegnati in questa lotta contro un virus sconosciuto. Un semplice messaggio: Rispettare semplici regole potrà permetterci di essere liberi”.
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