Non c’era il quorum da rispettare, ma il referendum day per le fusioni che trasformeranno 58 comuni in 19 nuove entità amministrative ha visto andare alle urne oltre 36.000 elettori lombardi nella giornata di domenica scorsa, primo di dicembre.
Si è trattato di una votazione che ha visto esprimersi a titolo consultivo elettori di comuni anche piccoli o piccolissimi che costellano le province lombarde e su cui le regole della spending review, tra decreti e moratorie, incombono su consigli comunali e sindaci di piccole realtà. Come il caso di Menarola, comune valtellinese di 47 abitanti: è il terzo centro meno popoloso della regione ed uno dei meno popolosi d’Italia, al cui confronto il varesino Pino sulla Sponda del Lago Maggiore (224 abitanti) o Gerosa, nella Bergamasca, coi suoi 383 abitanti, suonano come città.
Beninteso: il sì alle fusioni ha vinto. Ma quasi un comune su tre, di quelli a urne aperte, si è espresso contro le fusioni. Ci sono dei casi eclatanti come il comune di Val Rezzo, in provincia di Como dove si parla di fusione con altri 4 centri (tra cui anche i centri del Piccolo Mondo Antico di Fogazzaro, vedi Porlezza, Valsolda ecc.) dove ad esprimersi per il no è stato il 99% dei 123 votanti: 122 no, 1 sì.
Altre percentuali “bulgare” si sono verificate a Veddasca e a Sant’Ombono Terme (Bg) col 90% per i sì. Mentre a Corrido (Co) ha votato “no” il 90% degli elettori recatisi alle urne e a Pianello sul Lario (sempre nel Comasco ma per un’altra fusione) ha prevalso sempre il no per l’83% dei votanti.
Una particolarità viene ancora dalla provincia di Varese dove dei tre comuni che votavano per la fusione nell’Alto lago, due hanno totalizzato la parità assoluta: 50% a Pino Lago Maggiore e Maccagno.