“Sono i Bronzi che si appropriano dell’Expo, non il contrario”
I Bronzi di Riace fanno discutere critici d'arte e politici, ministri e sindaci: ma chi in Calabria e in Lombardia vive, cosa ne pensa? Abbiamo provato a chiederlo a chi ha già fatto da ponte tra le due regioni
I Bronzi di Riace fanno discutere critici d’arte e politici, ministri e sindaci: ma chi in Calabria e in Lombardia vive, cosa ne pensa? Abbiamo provato a chiederlo a chi ha già fatto da ponte tra le due regioni, durante il tour #reggiolive, ai bordi di un vigneto che sta facendo rivivere.
Giuseppe Mantica non sta "ne di qui ne di lì", o meglio, si divide tra Reggio Calabria e Gallarate, è uomo di cultura e di scrittura ed è attento osservatore delle sue terre: è la persona più adatta perciò per provare a rispondere su quali sono i sentimenti sulla questione, visti al di là delle diatribe tra critici d’arte. «Stavo giusto discutendo stamattina sull’argomento, in compagnia di un gruppo di amici reggini – Spiega Mantica, che è ancora in Calabria e ci resterà fino ai primi di settembre, quando riprenderanno le attività scolastiche che fanno parte della sua vita lavorativa – Ma mi sono ritrovato da solo, però, a sostenere il trasferimento temporaneo dei bronzi. Ho trovato molta ritrosia».
Avvocato del foro di Reggio Calabria con studio a Reggio ma anche a Sesto Calende, docente di diritto ed economia presso l’istituto Falcone di Gallarate e giornalista pubblicista iscritto ordine di Milano dal 2000 (scrive principalmente per Italia Oggi, gruppo Class), Mantica si autodefinisce "ciclista" per semplificare la sua vita, ma sui Bronzi ha una idea ben precisa: «Parto da lontano: da quando l’umanità è diventata stanziale, abbiamo sviluppato il concetto di proprietà, di "mio". Tutto quello che produciamo e troviamo viene considerato nostro. Ma un patrimonio dell’umanità non è più "mio": i bronzi di Riace, le opere del Caravaggio, i Moai dell’isola di Pasqua non appartengono più a chi li ha fatti o li ha trovati».
Invece: «Il fatto che i bronzi siano stati allocati a Reggio Calabria, perché trovati al largo di Riace, ce li fa sentire un po’ come nostra proprietà. Un concetto che tocca la sfera culturale, ma di una cultura che ha dei precisi limiti spaziali. Quando però ci alziamo al di sopra dello sguardo quotidiano, ci rendiamo conto che l’opera d’arte non è nostra. I Bronzi non sarebbero nemmeno più una rappresentazione italiana, ma universale, dell’Esposizione: e questo è un segno importante, che va compreso. L’unico limite che penso ci possa essere, al loro trasporto al nord può essere di tipo scientifico-tecnico: cioè che sia comprovato il rischio di rovinarli. Altre giustificazioni sentite qui, come “Sennò non ce li restituiscono più” sono solo segno di diffidenza, di scarsa fiducia nelle regole, e del considerare come avversario l’esposizione di Milano, mentre invece potrebbe essere uno dei più potenti veicoli pubblicitari della nostra cultura».
Scegliere di tenerle per sè, è da considerarsi «Una violenza sull’arte: noi di Reggio abbiamo in possesso i bronzi, ma i proprietari sono tutti. Quando chi li possiede mette “un recinto ai bronzi” come se ne fosse proprietario, sta violentando un opera d’arte, mentre l’opera d’arte in quanto tale va comunicata. Mi parrebbe bello però che, come risarcimento, venisse consolidata l’idea dello scambio temporaneo con altre opere d’arte, che potrebbero essere collocate a Reggio Calabria durante l’assenza dei bronzi. Due opere in cambio della loro assenza durante la stagione estiva, permetterebbe di avere una contropartita interessante per tutti».
Quello che è più difficile da capire, sembra però il motivo per cui l’Expo desidera tanto i bronzi di Riace: «A Reggio il commento più conciliante è “ma che c’entrano con l’Expo i Bronzi”? proprio perchè non c’entrano, e sono così attesi, finiscono per diventarne il fulcro. Con la loro capacità attrattiva i bronzi rischiano di appropriarsi dell’Expo, non il contrario».
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