“Turismo sì ma non di massa”. Il monito di Padre Comolli
Il priore di Santa Caterina preoccupato per afflussi troppo corposi: «Gli spazi interni sono ristretti, noi facciamo il possibile. Con Vincenzi ci sia la programmazione mancata con Galli»
A mezzogiorno in punto, il campanile di Santa Caterina fa sentire la propria voce; da secoli è il segno di ritrovo per abitanti e visitatori: il portoncino d’ingresso viene serrato per due ore, i monaci e i laici si ritirano per il pranzo e per il raccoglimento. È così anche oggi, anno domini 2015, giornata di visita all’Eremo con il presidente della Provincia Gunnar Vincenzi alla “prima ufficiale” nel monastero eretto per volontà del Beato Alberto.
È con lui che si intrattiene per qualche minuto padre Roberto Comolli, 78 anni, priore di Santa Caterina, che dopo aver congedato Vincenzi acconsente a una breve chiacchierata, nonostante il richiamo del campanile sia appena arrivato.
Padre Comolli, Santa Caterina richiama almeno 150mila visitatori l’anno, probabilmente in crescita con l’Expo. Come si può conciliare il turismo con la sacralità dell’Eremo?
«È sempre più difficile, perché con così tanta gente si toglie spazio alla funzione originale di Santa Caterina. Riusciamo a malapena a preservare l’orario delle messe, quando l’ingresso in chiesa è regolato e ammesso solo per chi vuole partecipare alla funzione. In un certo senso viviamo ogni giorno di grande afflusso come se fossimo in emergenza».
Questo è il principale problema che deve affrontare l’Eremo ora?
«Di sicuro il turismo di massa ci fa un po’ paura, nel senso che gli spazi sono davvero ridotti. Ciò vale per gli stessi visitatori: più di tanti per volta non possiamo farli entrare perché tutti voi sapete quanto è ridotta l’area interna: in caso di pericolo l’uscita è stretta, e ringraziamo Santa Caterina perché in passato non ci sono mai stati problemi».
La mancanza di spazi incide anche sull’attività religiosa.
«Esatto: sia perché non possiamo alloggiare pellegrini, sia perché abbiamo poco spazio per lavorare. Sul primo punto, purtroppo, siamo stati privati degli edifici sul piazzale nel corso della scorsa legislatura provinciale e questo non permette neppure di allargare la Comunità degli Oblati che vive qui e che conta una decina di persone tra cui io sono l’unico religioso. A tal proposito, anche gli spazi per chi vive qui sono angusti: seguiamo la Regola benedettina che ha in primo piano il lavoro. Noi ci dedichiamo alle ceramiche e all’orto botanico; quest’ultimo ci permette di proseguire la lunga tradizione nata con Santa Ildegarda sulle preparazioni medicinali che poi vendiamo per sostenerci. Ma appunto, abbiamo pochissimo spazio dove operare».
Cosa chiede al nuovo presidente Vincenzi e alla Provincia di Varese?
«Di riprendere per quanto possibile quella bella programmazione che abbiamo avuto prima con l’amministrazione Ferrario e poi con quella di Reguzzoni. Un discorso che purtroppo si è in parte interrotto con il presidente Galli con cui c’è stato qualche contrasto. So bene che oggi ci sono molti soldi in meno a disposizione dell’Ente provincia, ma questo incontro con Vincenzi mi è sembrato positivo: speriamo che la programmazione del passato possa tornare a funzionare».
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