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Riflessioni sul Giorno del Ricordo

Una nota del professor Giovanni Petrotta a margine delle commemorazioni dello scorso 10 febbraio

Avarie

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento del professore e consigliere comunale Giovanni Petrotta in merito al Giorno del Ricordo.

In occasione del Giorno del Ricordo, lunedì 13 febbraio, le classi terze della nostra scuola media, accogliendo l’invito dell’Amministrazione comunale di Luino, si recavano, accompagnati dai loro docenti e dalla Preside Raffaela Menditto, al teatro Sociale per assistere ad una conferenza del dott. Pier Maria Moresi, presidente del comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

Come è risaputo il Giorno del Ricordo è stato istituito dal Parlamento italiano con la legge 30 marzo 2004 n. 92; legge votata da quasi tutte le forze politiche, di destra, di centro e di sinistra presenti al Parlamento (solo 13 astensioni). Legge che all’articolo 1 comma 1, riporta: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.”

La nostra scuola media, da anni, su segnalazione del Ministero della Pubblica Istruzione, invita i docenti di storia delle terze di commemorare il 10 febbraio questa importante manifestazione civica, con lezione appropriate.

Purtroppo intorno alla celebrazione del “Giorno del Ricordo”, c’è stata e c’è ancora molta speculazione su questi fatti storici parte alcune forze politiche, che nonostante l’invito delle Associazioni degli Esuli istriani a commemorare con civiltà questi fatti, cercano la polemica, la provocazione, lo scontro.
Ne è d’esempio la manifestazione organizzata a Varese la sera del 10 febbraio scorso, ove un centinaio di persone, vestite di nero, alcune col volto semicoperto appartenenti ad associazioni dichiaratamente filonaziste, negazioniste e razziste, hanno marciato militarmente per alcune vie cittadine con fiaccole accese e tamburi.
Oppure come al liceo di Saronno, dove, sconosciuti e di notte, hanno appeso uno striscione “Titini Assassini”, riferendosi ai partigiani jugoslavi, senza sapere che molti soldati italiani, nei Balcani, specialmente dopo l’8 settembre 1943, anziché arrendersi ai tedeschi, scelsero di lottare con i partigiani di Tito. Dimenticando che questi fatti tragici storici, pieni di odio e violenza, ebbero inizio dopo la Prima Guerra mondiale con la dittatura fascista che impose, in quei territori leggi liberticide e peggiorarono durante l’occupazione nazista e fascista nella Seconda guerra mondiale.

A Luino sono diversi i militari alpini che scelsero la lotta partigiana con “i Titini” come l’alpino germignaghese Emilio Cipolla, cui la sua vicenda è stata raccontata nel bel libro del preside Emilio Rossi “Diario di un alpino luinese dal fronte Balcanico”, oppure come l’alpino Livio Dellea nel suo libro autobiografico “Un alpino che osò ribellarsi”. Ricordo che alla Forcora, alla chiesetta della Madonna delle Neve, c’è una lapide che ricorda i militari varesini della Divisione Alpina Partigiana Garibaldi nei Balcani.

Nel corso della Conferenza, il dott. Moresi, l’alpino Piero Rossi, e il sindaco di Luino hanno lamentato che questi fatti sono poco conosciuti dalla popolazione e dagli studenti. Vorrei in questa occasione smentire questa “diceria” e lo faccio riportando quanto scrive l’attuale manuale di storia delle classi terze, in uso presso le nostra scuola che, a mio parere chiarisce ottimamente questa tragica vicenda nazionale.
Per la cronaca il libro si chiama “I nodi del Tempo”, Lattes, Torino, 2014.
Ecco il testo, a pag, 255:

La tragedia delle foibe
I comunisti iugoslavi si vendicano dei fascisti
L’Istria era divenuta italiana dopo la Prima Guerra Mondiale. Durante il fascismo, in questa regione la repressione fu molto dura: il regime, infatti, voleva a tutti i costi “italianizzarla”; fu proibito parlare in sloveno o in croato, i giornali scritti in queste lingue vennero chiusi e anche i cognomi furono “tradotti” in lingua italiana. Molte furono le vittime del fascismo. Ma dopo l’8 settembre, con l’esercito italiano allo sbando e nel clima di estrema confusione, i partigiani comunisti iugoslavi si scagliarono contro i gerarchi fascisti locali e contro coloro che erano ritenuti conniventi col regime; essi vennero uccisi e i loro corpi gettati nelle foibe, cavità carsiche molto diffuse nella zona. Con loro trovarono però la morte anche molti non fascisti, ritenuti ugualmente colpevoli solo perché italiani.
L’Istria passa alla Iugoslavia
Un’altra ondata di violenze si ebbe a guerra conclusa, allorché, con il passaggio alla Iugoslavia dell’Istria e di Fiume, circa 350.000 Italiani che abitavano in quelle regioni abbandonarono le proprie case e si rifugiarono in Italia, iniziando la dura e triste vita di profughi. Molti altri ancora, invece, ritenuti, spesso erroneamente, sostenitori del regime fascista, vennero uccisi dai partigiani di Tito e i loro corpi gettati nelle foibe.
Tra le vittime ci furono anche molti antifascisti e appartenenti al CLN: i partigiani iugoslavi temevano che essi avrebbero potuto opporsi all’annessione della Venezia Giulia alla Iugoslavia.
Il numero delle vittime non è mai stato accertato: alcuni storici ritengono siano state 5.000; altri giungono a ipotizzare oltre 10.000 vittime.

Vorrei concludere questa comunicazione riportando la dichiarazione del senatore luinese Piero Pellicini, uno dei estensori della legge sul “Giorno del Ricordo”, padre dell’attuale sindaco di Luino, avv. Andrea Pellicini, riportata giorni fa da un giornale locale.
«Se riconosceremo fino in fondo la nostra storia, forse potremo dare un contributo affinché il nostro Paese ne esca più conscio, con migliori speranze nell’avvenire». Parole che sottoscrivo totalmente
Prof. Giovanni Petrotta

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Pubblicato il 20 Febbraio 2017
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