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Il primo giorno di pensione del professor Calcara

Il racconto di un professore venuto dal Sud e scaldato dall'affetto di colleghi, amici e alunni

Avarie

Un lungo post su facebook, scritto in punta di penna come solo chi padroneggia la lingua scritta sa fare. È il ricordo dal sapore delle foto un po’ scolorite di qualche anno fa proposto dal professor Saverio Calcara dedicato alla sua Luino, ai suoi studenti, che ancora oggi lo ricordano. Lo pubblichiamo di seguito, integralmente.

“Cu nesci arrinesci”, sentenziò mio padre, quando arrivò la telefonata della Luciana che, da una (per me) sperduta Luino, mi annunciava una supplenza di 20 giorni al Liceo Scientifico: “Deve sostituire la prof.ssa Figliuzzi” – mi disse – “il marito ha avuto un infarto e lo deve assistere; che fa, accetta?”

Nella concitazione del momento, mio padre mi fece rispondere di sì: “Cu nesci arrinesci”, e mi mise in mano i soldi del biglietto aereo per Milano, che equivalevano all’incirca a quanto avrei guadagnato da quella supplenza, visto che ai tempi (era il gennaio del 1979) non esistevano ancora i low cost e avrei dovuto, in ogni caso, prendere servizio nel giro di due giorni.

Corsi ad aprire l’atlante (non c’era neppure Google map, ovviamente) per vedere dove fosse esattamente questa benedetta Luino, il cui nome non mi era del tutto ignoto per via di qualche libro di Piero Chiara che, senza troppo entusiasmo, avevo leggiucchiato negli anni della mia, allora, non lontana adolescenza.

Ci arrivai, finalmente, il 16 gennaio, con un vetusto treno “centoporte” (quello coi sedili di legno, per capirci), partito alle 5,30 del mattino da Porta Garibaldi e che, superato il piatto panorama della cintura milanese, costeggiando, dopo Laveno, il lago Maggiore, mi depositò in quella immensa, bella, ma un po’ decaduta, stazione internazionale di dogana, costruita, nel 1880, dall’architetto Giovanni Faini sulla linea del Gottardo. Stavo letteralmente “ai confini”. Erano le 7,30 del mattino e sembrava mezzanotte; aveva nevicato qualche giorno prima e la neve, sporca di fango, era ammucchiata sui marciapiedi di Piazzale Marconi.

Lasciai la valigia in albergo, chiesi dove fosse la scuola e mi avviai. Il benvenuto me lo diede il mitico bidello Sergio che, scambiandomi per un alunno di quinta in ritardo, non voleva farmi entrare, e poi il buon preside Luigi Alfrè (che gli alunni chiamavano “Non si può”, per via di quel suo intercalare di sistematica negazione ad ogni loro richiesta) e poi ancora la Luciana, Baggiolini e il Tosi in segreteria. In quel vecchio istituto, tra Via Bernardino Luini e Viale delle Rimembranze, ebbi la mia prima cattedra, giacché la supplenza si prolungò, e poi a Luino ci rimasi sei anni, lasciando in quel bellissimo posto un pezzo del mio cuore. Oggi è il mio primo giorno da pensionato e il ricordo corre a quei magnifici anni, ai colleghi (Madonna, Russo, Sai, Crimi, Besozzi, Carestiato, Falzone, Speroni, don Natale…), ai tanti amici (Antonio La Serra da Monterosso Calabro, con cui ho condiviso case, bar e passeggiate; i Mandracchia da Castelvetrano che mi hanno sfamato tante volte con graditissimi inviti a pranzo o a cena; Gianpiero e Carmelo, i parrucchieri di Piazza Risorgimento, col loro imperdibile risotto; i compagni del Regio di Torino, il Coa in testa, con cui si andava a sentir l’opera e a mangiar dalla Luisa; Donato, Peppe Pavia, Tano Maniscalco, la Dircelo, la Lunga, la Seccome…); e, soprattutto, agli alunni, con molti dei quali ancora mi sento e ogni tanto mi vedo. Ecco, stamane penso a voi e a tutti gli altri che ho incontrato in questi quarant’anni, volati via come un soffio, che mi hanno segnato e dato tanto; nel coso dei quali, spero d’aver lasciato anch’io qualcosa di non effimero.

Pubblicato il 06 Settembre 2017
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