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70 anni fa moriva Don Folli, prete coraggioso e difensore della libertà

Domenica, 11 marzo, ore 10,30: S. Messa nella chiesa parrocchiale di Voldomino, con la presenza di autorità civili e religiose

Avarie

Domenica, 11 marzo verrà ricordata la figura di don Pieto Folli a 70 anni dalla sua scomparsa.

In un clima di razzismo istituzionalizzato, non esitò a rischiare la vita per aiutare ebrei e perseguitati politici a porsi in salvo nella vicina Svizzera. Pagò con il carcere duro a S. Vittore, insieme ad altri antifascisti luinesi.

Così lo ricorda l’Anpi di Luino:

«Il 3 dicembre ‘43 don Piero Folli viene arrestato: il suo popolo lo vede legato all’inferriata dell’asilo di Santa Liberata, percosso duramente, insultato, fatto oggetto di offese, di sputi, mentre gli mettono a soqquadro tutta la casa. Vogliono sapere da lui i nomi dei “corrieri” e di tutte le persone che aiutano i passaggi in Svizzera. Con umiltà, ma con fierezza, dirà, dopo la Liberazione all’on. Alessandrini, : “non ho parlato…» Questa la testimonianza di don Giovanni Barbareschi nel libro «Memoria di sacerdoti ribelli per amore». Nell’attiguo oratorio di S. Liberata era, infatti nascosto un gruppo di una quindicina di ebrei, uomini, donne e bambini, accompagnati da un sacerdote della Curia di Genova, don Gian Maria Rotondi, in attesa di poter varcare il confine svizzero della salvezza. Gino Moroni, anche lui arrestato e tradotto a S. Vittore, ci ha lasciato un ricordo flash che in poche righe condensa il drammatico blitz consumatosi sotto i suoi occhi: «Il 3 dicembre 1943 stavo vuotando la cassetta per le lettere che c’è in piazza a Voldomino, quando arrivò un camion con una ventina di miliziani fascisti ed alcuni tedeschi. Scesero come per un assalto e si precipitarono verso la canonica sparando contro le finestre. Poi entrarono e trascinarono fuori Don Folli, incatenandolo ad un’inferriata lì presso. Lo insultavano chiamandolo “traditore” e “prete rosso” ». Ancora più drammatica la testimonianza del suo biografo, don Marco Baggiolini: «Don Folli è preso e messo con le spalle contro la cancellata nel cortiletto che stava dietro la chiesa. Il suo “Giuda” che è lì presente non ha orrore a sputargli in faccia. Lo avvisano che coi mitra lo finiranno subito, fino a che, stanchi di beffarlo, lo caricano sul camion e via, alla volta di Milano. No: ogni tanto si fermano, fanno scendere il venerando uomo e lo mettono al muro. Poi di nuovo sul camion, fino al carcere di S. Vittore.» A rendere più dolorosa la barbara aggressione contribuisce senza dubbio il trattamento riservato ai suoi sventurati ospiti. È ancora Gino Moroni a raccontarcelo: «Trovarono subito gli Ebrei e gli altri ospiti del parroco; furono schierati fuori e posti a braccia alzate contro un muro. Vi era tra loro una donna anziana che teneva le mani in un manicotto di pelliccia e che restò per qualche momento impacciata. Dei soldi le caddero per terra ma nel frattempo le si era fatto addosso un milite colpendola violentemente con il calcio del fucile. La caricarono sul camion già morta: i soldi li raccattò il capo della spedizione». Poi gli antifascisti luinesi si ritrovarono insieme. Tra di loro anche Secondo Sassi, comunista, primo sindaco di Germignaga dopo la Liberazione. Ecco la sua testimonianza: «All’Elvezia mi serrarono i polsi con le manette dietro la schiena. Poi mi portarono al carcere di Luino, dove c’erano Don Folli, un altro prete, Ludovico Berzi, Dante Moroni, i fratelli Jelmini, un certo Sirio di cui non ricordo il cognome. Mi interrogarono chiedendomi chi fossero i comunisti del posto. Mi percossero duramente, rimbalzandomi a pugni e pedate da un lato all’altro della stanza» Ed è lo stesso Sassi che ci riferisce un aneddoto tra il serio e il faceto in quell’inferno di terrore in cui vivevano i detenuti politici a S. Vittore: «Potevo accostare gli altri Luinesi perfino in cella, favorito anche dalla presenza in giro di “borghesi”, operai delle imprese addette alle riparazioni. Ci perveniva anche qualche genere di conforto; poiché Don Folli gradiva assai fumare il toscano, un giorno gliene portai uno. Mi sorprese una guardia, chiedendomi che cosa facessi in quel posto. «È venuto a portare del caffè» interloquì Don Folli e la scusa fu presa per buona. «Allora anche lei, signor curato – scherzai – dice le bugie». «Caro il mio Sassi, qui non è peccato, sai, ne va di mezzo la pelle!» mi rispose». Dopo il carcere ed il confino prima a Cesano Boscone, poi a Vittuone, nel 1945 don Piero Folli tornò tra i suoi parrocchiani. Scese dal tram una fermata prima per evitare la folla, e si fermò al cimitero, in ginocchio davanti alla tomba della sua mamma.
Nel dopoguerra, la società attraversava una stagione di vendette e di sbrigativi pronunciamenti, talvolta animati da sentimenti personalistici, assolutamente avulsi da qualsiasi ideologia politica. Il futuro deputato, Pio Alessandrini ricorda nelle sue memorie una magistrale lezione di imparziale equità di giudizio: «Il primo maggio 1945 rividi Don Folli, tornato a Voldomino,…Arrivò in quel mentre una staffetta per chiedere la sua presenza a Luino. Si intendeva fucilare dei fascisti ed uno di essi aveva chiesto di lui. Protestò dicendo che quel modo di ritorsione era inumano e che chiunque aveva diritto ad un processo».
Pochi anni dopo, l’8 marzo 1948, all’ospedale di Luino si spegneva la sua fiaccola. Nella camera ardente una fioritura di rami di mandorlo, felice auspicio di una primavera in cui la libertà duramente conquistata avrebbe dischiuso un fecondo periodo di pace e di inarrestabili conquiste sociali.

IL PROGRAMMA DELLE CELEBRAZIONI:

Domenica, 11 marzo, ore 10,30: S. Messa nella chiesa parrocchiale di Voldomino, con la presenza di autorità civili e religiose, gruppi e associazioni.
Ore 11,30: corteo da Piazza Piave al cimitero di Voldomino e posa di un omaggio floreale sulla tomba di Don Folli.

Pubblicato il 06 Marzo 2018
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