Assalto silenzioso nella notte: l’audace azione di Cavaria, 75 anni fa
Nella notte tra l'1 e il 2 agosto i partigiani milanesi, quelli di Gallarate e quelli della montagna cooperarono nel colpo di mano alla fabbrica d'armi Isotta Fraschini. Un mese dopo si arrivò, anche grazie a questo, alla liberazione dell'Ossola
Si avvicinarono di notte, «strisciando lungo il fossato lungo l’autostrada». E nel giro di poche ore fecero uno dei colpi più audaci della Resistenza in Lombardia.
È successo esattamente 75 anni fa, tra l’1 e il 2 agosto del 1944: l’azione alla Isotta-Fraschini di Cavaria è oggi ricordata in molti libri di storia della Resistenza, non solo perché fu una grande beffa ai danni dei nazifascisti, ma anche perché fu – indirettamente – uno dei fattori tattici che portò alla nascita della Repubblica dell’Ossola, il primo esperimento democratico dopo vent’anni di dittatura in Italia.
La Isotta-Fraschini era una grande fabbrica con stabilimenti principali a Milano e a Saronno: produceva veicoli, motori e armi. Con l’inizio del conflitto mondiale, per timore dei bombardamenti aerei, una parte dei macchinari e delle maestranze fu spostata in località di provincia relativamente isolate. Tra queste c’era anche Cavaria con Premezzo, dove la Isotta-Fraschini trasferì la produzione di mitragliere e mitragliatrici per aerei in un capannone (già esistente) tra Cavaria e Oggiona, lungo l’Autostrada dei Laghi, là dove oggi c’è un grande produttore di strutture in legno.
La planimetria dello stabilimento Isotta-Fraschini di CavariaNell’estate del 1944, passato il rastrellamento in Valgrande, gli operai di Milano idearono un’azione audace, da realizzare in collaborazione con i partigiani della montagna e con i patrioti di Gallarate, principale centro vicino a Cavaria.
L’azione fu studiata da Enzo Galasi ed Enzo Passariello, milanesi dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica, partigiani che agivano in clandestinità e in piccole unità), anche se anni dopo rivendicò un ruolo anche Antonio Ielmini, “Fagno”, un partigiano di Ferno che aveva messo in piedi la 127° SAP di Gallarate (le SAP erano le Squadre di Azione Patriottica, nuclei di patrioti che operavano nelle fabbriche e nelle città e che spesso erano formate da operai). Le armi prelevate a Cavaria dovevano finire ai partigiani della zona di Verbania e dell’Ossola, che avrebbero garantito la sicurezza nell’ultimo tratto del trasferimento, di oltre 70 km.
Il 31 luglio i partigiani milanesi si procurarono due grossi camion con rimorchio e si mossero verso Gallarate, dove dovevano prendere con sé anche alcuni avieri della locale caserma dell’aeronautica, che volevano passare nelle file antifasciste. Arrivati in viale Milano, vicino alla caserma, non trovarono nessuno e dunque si nascosero in una zona di campagna nei dintorni di Gallarate.
Ventiquattro ore dopo, nella notte dell’1-2 agosto, passarono all’azione. «Strisciando lungo il fossato lungo l’autostrada, ci avviammo allo stabilimento» racconta Enzo Passariello, del GAP di Milano. «La prima sentinella, colta di sorpresa, non ebbe il tempo di fiatare; con la stessa e con la parola d’ordine si disarmarono altre cinque sentinelle e successivamente, al segnale convenuto, lampeggiando con una pila rossa, si fecero avvicinare i due automezzi che attendevano poco distanti».
Fatta irruzione nel dormitorio, i partigiani catturarono poi senza colpo ferire gli altri soldati tedeschi e fascisti. Caricarono sui due camion sei mitragliere da 20mm, venticinque mitragliatrici da aereo da 12,7mm e cinque da 7,7mm, venti mitra, munizioni, benzina, olio per le armi. Lasciati i patrioti di Gallarate a guardia dei prigionieri per alcune ore, i due camion partirono per la montagna. Verso l’Ossola, dove combattevano migliaia di patrioti di ogni convinzione politica: comunisti, democristiani, “apolitici”, socialisti.
La zona della Isotta-Fraschini e del casello autostradale in una foto aerea del 1951Accompagnati da falsi documenti, i camion superarono due diversi posti di blocco al ponte di Sesto Calende, poi alle 5 del mattino passarono anche quello di Baveno: i partigiani alla guida erano travestiti da SS italiane e da Finanzieri, i tedeschi di Baveno offrirono loro persino il caffè del mattino.
Alle prime luci del giorno, forzato l’ultimo posto di blocco di Intra, i camion carichi di armi salirono poi a tutto gas verso i monti sopra Verbania, dove li attendevano i partigiani della brigata “Cesare Battisti”, già appostati a controllo della strada dalla sera del 31 luglio. Qui ci fu l’unico, grave intoppo: a Manegra, su una curva, un camion si ribaltò con il suo carico e due partigiani rimasero feriti.
Sul posto rimase di guardia una squadra di partigiani guidata da Marzio Bianchi, “Roccia”, ventenne di Luvinate che prima di salire in montagna era operaio della Macchi di Varese (nella foto sotto, è morto nel 2017 ad Azzate).
Le armi furono comunque recuperate nel giro di poche ore e furono poi distribuite a tutti i reparti della zona di Verbania, che da piccoli gruppi si stavano davvero trasformando in brigate ben organizzate.
Al di là dell’audacia, il colpo ebbe conseguenze importanti dal punto di vista politico e militare. Prima di tutto, la suddivisione delle armi favorì i rapporti tra le diverse brigate partigiane della zona (che faticavano a trovare una unità): le brigate autonome General Perotti e Cesare Battisti si fusero di lì a poco nella nuova Divisione Piave, vale a dire un’unità più grande e in grado di coordinare azioni ad ampio raggio. Altri nuclei si unirono invece in quei giorni nella 85esima Brigata Valgrande Martire, sotto il comando delle Brigate Garibaldi (con tendenza politica di sinistra).
Da un punto di vista militare, le mitragliere pesanti – armi che colpivano a grande distanza ed erano in grado di fermare anche i mezzi corazzati – consentirono ai partigiani di espugnare il 3 settembre 1944 il presidio di Cannobio e, dalle rive, di contrastare i movimenti deibattelli che consentivano di spostare le truppe nazifasciste da Luino (nella foto di apertura dell’articolo: partigiani in Ossola con mitragliera da 20mm). La conquista di Cannobio rese così sicura la retrostante area della Val Cannobina – di fatto già controllata dai patrioti – attraverso cui la Divisione Piave liberò la Val Vigezzo.
La Sala storica della Resistenza a Domodossola, che era la sala dove si riuniva la Giunta Provvisoria di Governo della Repubblica dell’OssolaI nazifascisti, ormai rinchiusi a Domodossola e assediati dalle altre brigate, furono costretti ad abbandonarla il 9 settembre.
Nacque la “Zona Libera dell’Ossola”, che fu l’unica – tra le varie in Italia – a sperimentare una forma di governo democratica. La Repubblica dell’Ossola vide il ritorno della stampa libera (con tanto di vivaci discussioni e polemiche), la libera organizzazione dei lavoratori in sindacati di diverse tendenze, una Giunta di governo rappresentativa di tutti i partiti, con la presenza – tra l’altro – della prima donna mai chiamata in Italia a un ruolo di governo, Gisella Floreanini.
Durò solo quaranta giorni, ma fu un esperimento importante e fece assaporare per la prima volta la libertà e il gusto della democrazia.
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