Le tre volte che il Quirinale si occupò di Maccagno
L’ultima in ordine di tempo è quella del Presidente Sergio Mattarella dopo la fusione, la prima riguardò il cambio del nome del paese, siglato da Luigi Einaudi
Storia di casa che passione. Fra le pieghe del numero di ottobre del notiziario “Insieme” dell’associazione di volontariato “Solidarietà” salta fuori la chicca storica messa nero su bianco dal sindaco Fabio Passera non nuovo a studi e ricerche su illustri concittadini o episodi del passato. Qui, a onor del vero, eventi di altri tempi si intrecciano con la cronaca recente, tutti raccontati attraverso il fil rouge che lega le sponde del Lago Maggiore nientemeno che al Quirinale.
«Nel corso degli ultimi sessantasei anni, per ben tre volte la firma di un Presidente della Repubblica Italiana ha segnato passaggi importanti della vita della nostra comunità, conferendo solennità al quieto trascorrere della vita politica e amministrativa. Momenti molto diversi tra loro, ma che hanno profondamente segnato il futuro del nostro paese», scrive Fabio Passera.
«La prima volta fu nel 1953, esattamente il 10 di agosto, quando sulla Gazzetta Ufficiale fu pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, con il quale si stabiliva che “…è stata cambiata la denominazione di codesto Comune da Maccagno Superiore in quella di Maccagno”. Si tratta di una vicenda che abbiamo già narrato anni fa anche su
queste colonne, ricordando come il Regio decreto 4 dicembre 1927 nr. 2352 voluto fortemente dal regime fascista, aggregava al Comune di Maccagno Superiore la frazione di Colmegna e i Comuni di Maccagno inferiore, Campagnano, Musignano e Garabiolo. In conseguenza di tale atto impositivo, la nuova realtà amministrativa mantenne il nome di
Maccagno Superiore. Una vicenda da subito mal digerita da tutti i protagonisti, precipitata il 23 agosto 1952 quando, all’unanimità, il consiglio comunale invitò il sindaco Angelo Krentzlin a porre in essere tutte le pratiche necessarie affinché il nome del paese fosse ufficialmente cambiato. Fu inviata al Quirinale una dettagliata relazione con la quale si
cercava di dimostrare l’ineluttabilità di una decisione che la storia stessa imponeva: “…la denominazione suddetta (Maccagno Superiore) appariva giustificata allora, perché la differenziava dal vicino Comune di Maccagno Inferiore….e sotto l’aspetto campanilistico è quindi motivo di una sia pure blanda discordia….”. A sistemare tutto giunse salomonica (o pilatesca?) la ricordata decisione dello stato centrale. Terminava in questo modo un braccio di ferro che a molti parve un atto di giustizia, mentre qualcuno si chiedeva se non ci fossero cose più importanti delle quali occuparsi. In questo modo finì ufficialmente la contrapposizione tra due paesi che non smisero mai di detestarsi amabilmente».
Ma non vi fu solo la questione toponomastica affrontata dal Colle: il secondo provvedimento quirinalizio riguardò una parte del territorio del paese, che passò sotto la vicina Luino.
«Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi legò invece il suo nome a una piccola vicenda di provincia, quando con il proprio decreto n.1042 del 25 settembre 1955 sancì il definitivo distacco di Colmegna dal Comune di Maccagno a favore di Luino», continua Passera. «Appena due anni dopo della “grana” del nome da assegnare al comune di Maccagno, un altro pezzo di territorio si ribellava ai confini politici e geografici. Cominciamo dall’inizio: il 27 marzo 1954 il consiglio comunale di Maccagno elesse Ivano Campagnoli alla carica di sindaco, succedendo ad Angelo Krentzlin. Tra le varie incombenze sul tavolo del neo eletto, spiccava la questione sollevata dalla petizione che 177 colmegnesi avevano presentato il 29 luglio 1951 al Presidente della Repubblica, volta alla separazione dal capoluogo posto a Maccagno. Secondo un censimento dello stesso anno, Colmegna era composta da 362 abitanti, suddivisi tra 176 maschi e 186 femmine. I motivi addotti erano numerosi e difficilmente contestabili: su tutti, il fatto che la piccola frazione gravitava, di per sé, già su Luino, alla quale apparteneva anche da un punto di vista geografico.
Inutile dire che questa presa di posizione fu vista sulle sponde del Giona come un accadimento assolutamente nefasto, e già nel mese di ottobre di quel medesimo 1951 il consiglio comunale di Maccagno espresse parere sfavorevole al distacco della frazione di Colmegna. Le motivazioni addotte a questo diniego, non brillavano certo per spirito unitario: lo stesso sindaco Campagnoli, una volta eletto, in una corrispondenza con la prefettura di Varese rimarcava il danno economico che derivava da tale scelta. Infatti, sarebbero venuti di colpo a cessare da un lato gli introiti provenienti dai contribuenti di quella frazione, e dall’altra sarebbero cessati i relativi contributi provenienti dal governo centrale. Ma tant’è: il decreto del Presidente Gronchi, mise fine a ogni discussione, per sempre».
E qui, archiviate le vicende lontane che rimandano al gusto delle pagine del romanziere Andrea Vitali, specialista delle saghe letterarie e localissime fra sindaci, pretori e preti imparate forse dal maestro di casa Piero Chiara, arriva la cronaca dei giorni nostri che chiude il cerchio.
«La terza firma eccellente è quella di Sergio Mattarella, attuale Capo dello Stato. A distanza di cinque anni dalla fusione con gli ex Comuni, avvenuta il 4 febbraio 2014, il Comune di Maccagno con Pino e Veddasca ha ricevuto lo stemma ufficiale e il gonfalone che rappresentano il nuovo Ente. A consegnarlo il prefetto di Varese Enrico Ricci, ed è storia
recentissima: era martedì 26 marzo 2019.
Le tappe che hanno portato a questo traguardo sono state essenzialmente tre: all’8 gennaio 2018 risale la richiesta di assistenza araldica per la definitiva approvazione del nuovo stemma e gonfalone comunale all’Ufficio del Cerimoniale di Stato e per le Onorificenze della Presidenza del Consiglio dei ministri; il 28 febbraio venne espressa la volontà del comune di ottenere il decreto di concessione dello stemma e del gonfalone.
Infine, il 12 settembre 2018, con il decreto del Presidente della Repubblica, sono stati concessi uno “Stemma: d’azzurro, alla torre di rosso, mattonata di nero, merlata alla ghibellina di cinque pezzi, aperta del campo, fondata sulla pianura di verde, accostata da due leoni controrampanti d’oro, il tutto sormontato da tre stelle a otto raggi dello stesso,
poste a fascia”.
Una storia niente male, che porta indelebili le firme di tre tra gli uomini più influenti della nostra Repubblica. Un legame tra un paese piccolo ma assai vivace, che fece i conti con i Palazzi romani della politica che conta davvero», conclude il sindaco, che mette i tre episodi nel cassetto, almeno fino alla prossima firma eccellente da inserire nella storia ufficiale del paese.
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