Terra di leggende il regno delle bocce. Damiano, la grande promessa
L'euforia gioca brutti scherzi e così il giovane verbanese rimase solo una bella promessa
Eh, già! Se c’era uno predestinato questo era sicuramente Damiano. Cresciuto in un paesino del Lago Maggiore, sponda piemontese, di origini meridionali perse nel tempo – suo padre ne parlava con un certo distacco, sostenendo di non riuscire a ricordare se erano stati i nonni o i bisnonni a venire dalla Puglia fin quassù, come amava qualificare la regione nella quale abitavano da qualche generazione – aveva dimostrato da giovanissimo una grande predisposizione per lo sport delle bocce. A 20 anni aveva vinto un gran numero di gare a livello individuale, era diventato campione provinciale, regionale ed era arrivato secondo ai nazionali: un curriculum da campioncino, non ancora da campione affermato, ma si trattava solo di tempo. Sapeva fare tutto: accostava con grande naturalezza, costantemente a pochi centimetri dal pallino, colpiva di raffa sottomano e sopramano, il volo, poi, era la sua specialità, con quel giro sotto che faceva arrestare la sua boccia quasi nel medesimo posto dove prima c’era quella dell’avversario. Completo era, senza alcun dubbio.
Aveva anche trovato lavoro, prima come apprendista, poi come operaio specializzato in un’industria metalmeccanica che produceva, fra l’altro, coclee in acciaio inossidabile per il trasferimento di solidi. Erano dei gioielli: lucenti, incapsulate con coperchi a cerniera per proteggere mani e indumenti dalla vite senza fine che andava a sfiorare il fondo dell’impianto, una volta avviato. Damiano aveva un carattere esuberante, giocoso, un po’ per l’età, un po’ per natura, era portato a scherzare su tutto, faceva squadra con i compagni di lavoro, ma anche con i capi, come il geometra Verdoni, che l’aveva preso sotto l’ala protettiva.
Un giorno nel quale avevano ultimato una coclea formata da alcuni pezzi da 10 metri, che doveva essere collaudata, Damiano, effervescente come non mai, la mise in moto, inserì la canna dell’acqua a un’estremità per ripulire il fondo dalle scorie, svitò il tappo di fondo all’altro lato per favorire lo scolo e sollevò il coperchio finale – bloccando le sicurezze – per verificare la qualità della pulitura. Fu a quel punto che gli venne l’ispirazione e, con aria di sfida: “Volete vedere come si fa a collaudarla veramente, come si fa per vedere se il passo è costante?”. Gli altri lo guardarono con fare interrogativo. Lui s’inginocchiò vicino al foro di scarico, infilò con aria strafottente il medio della mano destra verso l’alto e, quando il fondo della vite si protese sul basso, lo sfilò con destrezza. “Passa … non passa, passa … non passa” esclamava allegro inserendo e togliendo il dito nel pertugio. L’euforia è un male insidioso che sovente fa sottovalutare i dettagli e per la sicurezza sul lavoro i particolari sono altrettanto importanti degli aspetti essenziali. Così, all’ennesimo passaggio Damiano non fu così abile nello scansare e il dito medio venne tranciato alla base. Caos indescrivibile, la sanguinante e inebetita vittima della stupidaggine venne caricata sulla prima auto aziendale e trasportata di corsa all’ospedale di Varese. Il geometra ancora più sconvolto del ferito, prese il dito rimasto per terra, lo infilò in un sacchetto di plastica trasparente, saltò su un’altra auto e si precipitò anche lui verso l’ospedale con la speranza che in chirurgia riuscissero a riattaccarglielo. Sarà stato lo schock per l’accaduto, la fretta di arrivare in tempo, forse un briciolo d’imperizia, sta di fatto che dopo pochi chilometri, nell’affrontare una curva sulla destra, il Verdoni la stringe troppo e finisce lui, la macchina e il dito in una specie di fossato che fiancheggiava la carreggiata e … fine del tentativo.
Damiano perse il dito, guarì perfettamente, fece carriera malgrado la bravata, diventando capo reparto produzione, ma la giovane promessa delle bocce rimase praticamente tale: senza il dito medio della mano destra le sue fantastiche bocciate di raffa e di volo persero completamente precisione ed efficacia e anche nell’accosto qualcosa si era inceppato irrimediabilmente. La passione no, era rimasta immutata, così come il suo carattere gioviale. Amava scherzarci: “Porca miseria, proprio il medio dovevo perderci: come faccio adesso a fare gestacci all’americana? D’accordo c’è la sinistra, ma volete mettere con la destra!”
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