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L’ultimo giorno di scuola a Lisanza: “Un giorno recupereremo la gioia”

Una insegnante saluta i "suoi" bambini e riflette sulla fine "di un anno scolastico che resterà nella storia"

sciopero scuola banchi vuoti

8 giugno 2020 Eccoci all’ultimo giorno di scuola, non scandito dal suono della campanella dell’uscita seguito da un grido liberatorio che è quasi un boato ma da un freddo schermo, con le voci dei nostri alunni che si sentiranno ad intermittenza ( prevedo intasamento della rete purtroppo).

Ultimo giorno di scuola di un anno scolastico indimenticabile, che addirittura resterà nella storia. E anche se i programmi per quest’estate e per il ritorno a scuola a settembre sono ancora incerti, oggi si respira un po’ di aria di libertà ma soprattutto la soddisfazione di quella fatica che arriva al termine di un’impresa. E’ stato tutto così improvviso ed inaspettato e i giorni di chiusura della scuola che a fine febbraio sembravano un breve periodo di vacanza straordinaria si sono trasformati in una chiusura definitiva dell’anno scolastico in aula, le settimane totali sono diventate 16 e i giorni più di 100. Ma la scuola non si è fermata: alunni, insegnanti, famiglie, hanno dovuto riorganizzare i loro ritmi, reinventarsi ed imparare nuove modalità didattiche e comunicative, tutti insieme, in un clima di collaborazione, con i limiti connessi all’uso del digitale, alla mancanza di preparazione e a volte di strumenti e anche alla pesantezza psicologica del momento che non sempre permetteva di concentrarsi ed impegnarsi al meglio.

Citando il mitico maestro Manzi che aveva insegnato a leggere e a scrivere a tanti italiani in televisione direi che il motto di questi mesi potrebbe essere “Fa quel che può, quel che non può non fa”.
Non potendo principalmente abbracciarci, guardarci negli occhi ed esprimere la nostra gestualità abbiamo riscoperto ancora di più il valore e l’importanza della parola. Le parole che ho scritto a commento dei lavori inviati dai miei alunni, nei messaggi che volevano essere di incoraggiamento e di affetto. Le parole lette sui libri condivisi in rete o quelle dei testi che i bambini della mia classe si sono prestati a leggere su Jitzi Meet, come facevano a scuola, al loro compagno Tommy, affetto da una grave forma di SMA. Perché, anche con la D.a.D. che in alcuni casi è discriminante si può fare inclusione. La parole inventate in rima e trasformate in bellissime filastrocche, perché esprimere i sentimenti su carta può aiutare ad esorcizzare la paura. Le parole che i bambini del 2020 non dimenticheranno più in quanto hanno letteralmente trasformato le loro vite: virus, pandemia, quarantena, tampone, isolamento. Ma anche parole buone e positive come videochiamata, infermieri e medici eroi, aiuto reciproco in quella che è stata una grande lezione globale di educazione alla cittadinanza. Siamo stati chiusi in casa alcune settimane per proteggere la salute di tutti, soprattutto dei più vulnerabili, ma nonostante questo abbiamo garantito il diritto all’istruzione dei nostri studenti.

A settembre torneremo in classe, si spera. Avremo programmi da recuperare, regole da reimparare, fili da riannodare e qualche ferita da curare. Non saremo né migliori né peggiori ma certamente diversi e nulla potrà più essere come prima. Personalmente da questa epidemia ho imparato ad amare ancora di più il mio lavoro e i miei alunni. Il mio augurio per me e per loro è che la gioia e l’euforia di quest’ultimo giorno di scuola che oggi ci viene negata possiamo recuperarle, con gli interessi, al suono della prima campanella all’inizio delle lezioni tra tre mesi. Anche a costo di nascondere i nostri sorrisi sotto ad una mascherina.

Federica Franzetti
Insegnante Scuola Primaria Toti Lisanza

Pubblicato il 08 Giugno 2020
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