Il Gulliver da 35 anni “non come il gigante dei suoi sogni, né il nano delle sue paure”
Come nacque e il perché di quello strano nome. Un articolo ripercorre la storia di un gruppo di ventenni, associazioni, volontari e don Michele Barban che hanno fondato la cooperativa che avrebbe gestito il centro
Sono passati trentacinque anni da quel 22 febbraio 1986 quando alcuni giovani ventenni si ritrovarono dal notaio insieme con don Michele Barban, Gianfranco Nicora, Renato Latini, allora segretario delle Acli, un dirigente dell’azienda Inda e alcuni volontari. Le energie per far nascere la cooperativa Gulliver furono frutto di diverse realtà. Un gruppo informale che lavorava a quel progetto da qualche mese e che portò a un parto nemmeno tanto difficile.
C’era l’entusiasmo dell’incoscienza oltre alla consapevolezza che si poteva costruire qualcosa di importante per il territorio. Arrivammo a quell’appuntamento grazie all’incontro di alcune esperienze e dopo tanti confronti nelle sedi più disparate. I primi nei locali dell’allora associazione Amici del Gruppo Abele che aveva la sede in via Rainoldi, poi in quelli dell’allora NOT, nucleo operativo tossicodipendenze in via Ottorino Rossi per poi passare alcune giornate nella parrocchia di Coarezza dove viveva don Michele. Ci furono anche uscite fuori porta come all’alpe Mera per immergerci nelle discussioni e nelle programmazioni di quello che sognavamo come futuro progetto.
LA SCELTA DEL PROGRAMMA TERAPEUTICO
Insieme con questi momenti anche le trasferte a Roma e Viterbo per incontrare i vertici del Ceis di don Picchi. L’intervento pubblico si fermò a quella prima fase proprio per la volontà espressa dal fondatore di Progetto Uomo in Italia. Da metà degli anni Settanta anche il nostro paese iniziò a conoscere il dilagare dell’eroina e come spesso accade si trovò impreparato e anche diviso. Lo Stato oscillava tra logiche repressive e un voltarsi dall’altra parte. La storia di San Patrignano e del suo fondatore Vincenzo Muccioli è lì da vedere per capire quale fosse la situazione. A quella risposta laica, con una comunità chiusa e molto legata al leader carismatico, si aggiunsero diverse altre proposte provenienti dal mondo cattolico. Il Gruppo Abele fondato da don Ciotti a Torino, Comunità nuova di don Gino Rigoldi a Milano, la Cnca e il Ceis con la federazione italiana delle comunità terapeutiche di don Mario Picchi a Roma.
Noi, per ragioni diverse, ma anche per la conoscenza diretta di tanti ragazzi che frequentavano quest’ultima, scegliemmo proprio il Ceis. Abbiamo raccontato in un altro articolo di alcuni mesi fa quale fu il ruolo di don Michele Barban, oggi non più a capo del progetto, e soprattutto cosa poi sia diventato il Gulliver a Varese.
L’origine del progetto però non fu sua. Lui arrivò dopo quando alcune scelte erano fatte e per far decollare la struttura serviva un sacerdote. Era quello che chiedeva Roma. Oggi può far sorridere, soprattutto se si pensa che la più importante realtà sociale legata alle dipendenze nata a Varese, terra verde e non solo per la rigogliosa natura, aveva un’anima con solo alcune radici lombarde.
PERCHE’ IL NOME GULLIVER
Gulliver fu il risultato di sensibilità diverse e un ruolo centrale lo ebbe Gianfranco Nicora che coordinava una associazione di famiglie. Ci furono tanti incontri, anche per trovare quel nome così emblematico e simbolico.
Il personaggio di Swift era un incrocio perfetto sia per quello che l’autore inglese aveva partorito per sfuggire alla censura dell’epoca usando ironia ed elementi allegorici, sia per quello che affermava la filosofia di Progetto Uomo. “Non come il gigante dei suoi sogni, né il nano delle sue paure” sembra scritto per dare senso a Gulliver che nei suoi viaggi si ritroverà a vivere entrambe le condizioni. Ecco quindi il perché di quel nome incrocio di storia, viaggio, irriverenza, ma anche capace di stare nella condizione di ricerca e crescita.
Un messaggio forte ai ragazzi che avrebbero cercato una loro via fuori dalla strada dove si stavano perdendo a causa della dipendenza.
Trovato il nome, una associazione sociale come le Acli, il sacerdote che avrebbe guidato l’impresa e i primi possibili operatori e volontari si trattò di cercare anche qualche finanziatore. Come spesso accade se un progetto ha un’idea forte e qualche base seria, i soldi non diventano un vero problema. All’inizio su la signora Frattini, patrona della Inda ad aiutarci in modo significativo. Lo fece con coraggio, ma anche forte pragmatismo inserendo un proprio dirigente nella struttura di comando amministrativo della futura cooperativa.
LA COOPERATIVA E L’AVVIO DEL PROGETTO
Arrivammo così dal notaio con una compagine davvero insolita, ma del resto quello che ci accingevamo a fare non aveva grandi precedenti. C’era una sola certezza: per molti mesi nessuno di noi avrebbe avuto uno stipendio, ma del resto i primi avevano ancora tanta strada da fare perché li attendeva un percorso di formazione lungo. Il Ceis prevedeva un corso all’allora Casa del sole di Castel Gandolfo intervallata dal tirocinio in alcune strutture terapeutiche. Io, Anna e Lucia partimmo a marzo dello stesso anno per fare il nostro cammino. Ognuno con indirizzi diversi in modo da poter poi avviare l’accoglienza, la comunità e dopo circa un anno la struttura di reinserimento.
Ovviamente tutto questo non aveva fatto i conti con l’estro, ma anche la totale sregolatezza di don Michele Barban che decise invece di aprire l’accoglienza il 19 maggio mentre noi eravamo ancora a Roma. Avevamo trovato la sede nei piccoli locali sotto la chiesa di San Giorgio a Biumo superiore, come si può vedere nella foto sopra. Una casetta con un ingresso e tre stanze al primo piano. Fu lì che partì la prima struttura. I primi cinque ragazzi: Isabella, Alberto, Roberto, Emilio e Maurizio furono accolti da Francesca, suor Elisa e Guido che avrebbe iniziato al Gulliver il suo servizio civile.
La storia è lunga e siamo ancora qui a festeggiare per questa realtà che nel frattempo ha accolto migliaia di ragazze e ragazzi e dato lavoro a centinaia di operatori. Un centro che ha lavorato e lavora su tanti fronti e con una notevole attenzione allo sviluppo delle persone. Da qualche mese c’è stato un avvicendamento ai vertici del Gulliver con un nuovo consiglio di amministrazione e un nuovo presidente. Emilio Curtò, conosciuto a Varese per esser stato ai vertici del Tribunale, da alcuni mesi lavora per dare stabilità e nuove visioni al centro. Lui e i tanti collaboratori a vario titolo proseguono un’opera dal grande valore per tutta la comunità territoriale e anche oltre.
L’articolo è scritto in prima persona perché sono stato tra i fondatori del Gulliver e uno dei primi operatori a lavorare nel progetto. Nel febbraio del 1984 avevo iniziato il servizio civile nel Nucleo operativo tossicodipendenze dell’allora USSL Varese in via Ottorino Rossi e da lì prese il via parte del lavoro per dar vita al nuovo Centro.
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