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Maria, l’infermiera-partigiana da Niguarda alla Valgrande

Nata in Veneto, infermiera nel grande ospedale milanese, si unì alla formazione "Valdossola" a Orfalecchio in Valgrande. Per i partigiani fu una figura quasi salvifica: la sua storia ispira anche un romanzo appena uscito

Val d'Ossola Formazza

Un anno di guerriglia armata solo di bende, siringhe, ago e filo da sutura. Una «gara d’amore per la bontà, la modestia, l’abilità e il coraggio», quella di Maria Peron (foto: archivio Casa della Resistenza di Fondotoce).
Infermiera dei partigiani dell’Ossola
, nell’arco di dodici mesi in montagna divenne una figura quasi salvifica, per la grande abilità nelle cure mediche, per la resistenza fisica e la generosità.
Una storia che viene ora ripercorsa anche in forma di romanzo, nelle pagine di “Maria: nata per la libertà”, di Amalia Frontali.

Nata a Borgoricco Sant’Eufemia, in provincia di Padova, il 18 marzo 1915, Maria Peron studiò da infermiera, allora interpretata non solo come una professione, ma quasi una vocazione (nel caso di Maria sostenuta anche dalla fede cattolica, semplice e solidale, in cui era cresciuta nel Veneto rurale). Negli anni della guerra era già all’ospedale di Niguarda di Milano, il più moderno della città, completato alla vigilia del conflitto. Fu seguendo una parola d’ordine interiore che aderì alla Resistenza, che nell’enorme ospedale milanese prendeva le forme di una rete clandestina incaricata di curare di nascosto i partigiani e gli antifascisti ricercati oppure di far fuggire chi – ferito e piantonato – rischiava la tortura, la deportazione o la fucilazione. Ma a rete clandestina si occupava anche di far fuggire gli ebrei dalla città.

ospedale niguarda
L’ospedale di Niguarda era stato completato nel 1939

Scoperta dai nazisti la rete clandestina in ospedale, nell’aprile del 1944 Maria fuggì verso i monti della Valgrande, unendosi alla formazione del “Valdossola” di Attilio Superti. Con pochissime dotazioni che arrivavano dalla pianura, Maria Peron riuscì a costruire a Orfalecchio un vero “ospedaletto” per prendersi cura dei malati e dei feriti della formazione. Poche settimane dopo, a inizio giugno, il gruppo fu investito da un vasto rastrellamento guidato dalla SS Polizei: per settimane i partigiani vagarono braccati e Maria si prodigò per salvare i feriti, anche quelli più gravi, come quel Cesare Scampini da Samarate che fu affidato alle cure di un alpigiano istruito da Maria alla bell’e meglio (ferito a un rene e moribondo, Scampini si salvò).

Dopo l’estate Maria Peron attraversò la fase della Repubblica dell’Ossola, la sconfitta delle formazioni autonome, la ripresa della lotta nel durissimo inverno 1944/45, affidata ai garibaldini in Ossola e alla cooperazione con gli autonomi della “Cesare Battisti” sulle sponde del Lago Maggiore, sopra Verbania, Cannero e Cannobio. A Natale del 1944 la fama di Maria è tale che un suo profilo viene pubblicato in prima pagina sul numero speciale della “Stella Alpina”, il giornale dei garibaldini tra Valsesia e Ossola: l’articolista racconta una «eroina garibaldina», nell’enumerare le virtù sembra quasi evocare una forma di santità, laica o religiosa che fosse.

Nel mondo partigiano dell’Ossola non mancano certo le figure di medici e infermieri che diedero il loro contributo, sia sul piano pratico sia su quello politico, come nel caso di Ettore Tibaldi, socialista, primario all’ospedale di Domodossola, presidente della Giunta Provvisoria di Governo nei “44 giorni di libertà. Non mancarono i Caduti, come Vito Casalburo, fucilato dai nazisti all’ospedaletto d Forno di Valstrona.
Maria Peron si è guadagnata un posto speciale forse per il suo essere figlia del popolo, fin dall’aspetto di robusta contadina veneta. O forse per il destino che la portò a rimanere così vicina alla “prima linea”.

Val d'Ossola Formazza

Il legame tra Maria e i “suoi” partigiani la portò anche a sposare un partigiano con cui aveva diviso i mesi di lotta, Laurenti Giapparizze. Georgiano strappato alla sua terra dalla Wehrmacht, aveva disertato e si era unito ai patrioti italiani, anche se all’inizio non parlava che poche parole.

Un’amicizia nata in mezzo alle difficoltà della guerriglia, come raccontano con delicatezza anche le pagine del romanzo di Amalia Frontali, basato su accurate ricerche ma capace di interpretare i pensieri e l’evolversi del carattere dell’infermiera partigiana, in quei dodici mesi che valevano una vita. Maria Peron e Laurenti Giapparizze (insieme nella foto sopra) si sposarono a Cicogna nell’agosto 1945 e vissero sempre insieme, fino alla scomparsa di lei, nel 1976. La città Verbania – dove visse nel Dopoguerra – a Maria Peron ha anche dedicato una scuola.

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Amalia Frontali presenterà online il suo libro “Maria: nata per la libertà” sabato 27 alle ore 18, sul canale You Tube e Facebook di Anpi Verbania.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 22 Febbraio 2021
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