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Il Covid visto con gli occhi di un giovane soccorritore

Amos abita a Malnate, ha 20 anni e lavora sulle ambulanze della Sos dei laghi: «Ricordo ancora la prima corsa per Covid. È stata la cosa più triste che mi sia mai capitata»

amos soccorritore

Amos Mano ha 20 anni, abita a Malnate e fa il soccorritore. Aiutare le altre persone per lui è una passione, che dopo le prime esperienze di volontariato ha deciso di trasformare nel suo lavoro. Un lavoro impegnativo, a volte estenuante, e che nell’ultimo anno gli ha fatto incontrare da vicino il dolore e la sofferenza che il Covid-19 ha portato nelle case di molte famiglie. Amos ha deciso di raccontare la pandemia vista dal suo punto di vista: quello dei tanti soccorritori impegnati in questa lotta.

Il percorso di Amos comincia nel 2018, quando ancora studente si avvicina al mondo del soccorso grazie alla Sos Malnate. Amos partecipa ai corsi, supera gli esami, e alla fine ottiene la certificazione di soccorritore esecutore nell’ambito dell’emergenza sanitaria. «Nel gruppo dei soccorritori di Sos Malnate – racconta Amos – si è formato un legame difficile da spiegare. Un senso di fratellanza e amicizia che raramente avevo incontrato nella mia vita. Avevamo e abbiamo un unico scopo, quello di aiutare gli altri, e lo facciamo con grande dedizione, sacrificio e amore. Mi sono innamorato di questo mondo e in seguito ho deciso di trasformare il volontariato in attività lavorativa».

Dopo svariati tentativi, Amos riceve una proposta di lavoro in un’associazione di soccorso nel milanese. Qui svolge mansioni di capo equipaggio sulle ambulanze di emergenza sanitaria e di capo servizio sui centri mobili di rianimazione come supporto al medico rianimatore e a un infermiere professionale. Nel novembre 2020 Amos decide di avvicinarsi un po’ di più a casa, e accetta la proposta della Sos dei laghi di Travedona Monate dove lavora tuttora. «Questa fantastica associazione – ricorda Amos – mi ha accolto con entusiasmo. Anche qui sin da subito ho stretto con i colleghi un forte legame, dove, tra risate e amicizia, ho riscontrato tantissima professionalità».

Con l’arrivo del Coronavirus la situazione all’improvviso è cambiata. «Nessuno di noi – racconta Amos – avrebbe mai pensato di poter vivere una situazione del genere. Giorno dopo giorno i casi aumentavano, eravamo tutti terrorizzati da questo virus che nessuno conosceva, eravamo spaventati e all’inizio brancolavamo nel buio dell’incertezza. Missione dopo missione vedevamo gli occhi pieni di paura e di lacrime di chi aveva i sintomi, e vedevamo i parenti dei pazienti scoppiare in pianti senza fine per la paura di non rivedere più i propri cari. Era davvero straziante cercare di consolare e rassicurare, senza sapere effettivamente cosa sarebbe potuto accadere al nostro paziente».

«Ricordo ancora – racconta Amos – la mia prima uscita per un paziente positivo al Covid-19. Era un sabato notte in rientro da una missione, veniamo attivati per un codice rosso a Malnate. “Sospetto Covid”. Giunti sul posto abbiamo indossato i dpi individuali e siamo entrati nell’abitazione senza sapere cosa aspettarci. Ad accoglierci la moglie in lacrime che ci ha portato dal marito che non respirava più. Abbiamo iniziato il protocollo di rianimazione e chiesto il supporto dell’automedica. Dopo un’ora e vari tentativi di rianimazione con l’aiuto di farmaci salvavita, il medico ha purtroppo constatato il decesso. La moglie, disperata, era con i figli al telefono che davanti a tale disgrazia purtroppo non potevano neanche raggiungere l’abitazione dei genitori per poter salutare un’ultima volta il proprio caro».

«È stata la cosa più forte e triste che mi sia capitata – aggiunge Amos -. In ambulanza, al rientro in sede, nessuno parlava, c’era il totale silenzio, eravamo scioccati e sconvolti da cosa potesse fare questo virus. In sede, siamo scoppiati tutti in un pianto dirotto tra dispiacere e paura, ma facendoci forza l’un l’altro. Quella notte ha segnato un po’ le nostre vite. Da quel giorno combatto insieme ai miei compagni, medici, infermieri e tutto il personale ospedaliero contro questo mostro».

«Il nostro compito – afferma Amos – è entrare nelle case delle persone che ci chiedono aiuto, sia Covid oppure no. Noi ci siamo sempre, con la stessa paura di un anno fa ma con molta più consapevolezza del fatto che possiamo e dobbiamo farcela. Chiedo di aiutarci ad aiutare, indossate le mascherine! Anche a noi danno fastidio, non fanno respirare, ma è per il bene di tutti, mantenete le distanze il più possibile, non costa nulla ma potrebbe salvare una vita. Tutto questo per poter ritornare a vivere, si, perché ho 20 anni e anche a me come tutti mancano le serate di divertimento, non vedo più né amici né familiari da un anno; ma soprattutto perché fa male al cuore vedere la gente soffrire e morire per questo virus».

Alessandro Guglielmi
alessandro.guglielmi@varesenews.it
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Pubblicato il 27 Marzo 2021
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