Mimì, la ragazza ebrea uccisa sulle colline sopra Arona
Non si è mai saputo chi fosse: fu uccisa in un bosco, forse dopo essere stata "venduta" ai nazisti. A distanza di anni però qualcuno ha voluto ricordarla
È rimasto solo un nome, incerto. Mimì, un nome dolce che è stato tramandato nel tempo: è la ragazza ebrea uccisa dalle SS a settembre 1943 nei boschi di Invorio, sulle colline sopra Arona.
Oggi c’è un cippo in legno con una targhetta che la ricorda: “Mimì, ragazza ebrea”, con la data in cui fu uccisa, il 15 settembre 1943. Si trova in un bosco sulla strada tra Invorio e la frazione Barquedo ed è stata posizionata solo da pochi anni, per merito del “Comitato permanente San Marcello”, che ha creato un percorso della memoria nel bosco.
Ma chi era la misteriosa ragazza ebrea?
Probabilmente era straniera, in fuga verso la Svizzera in quei convulsi giorni in cui l’Italia veniva occupata dai tedeschi. Erano molti gli ebrei sul Lago Maggiore in quei giorni: milanesi in gran parte, piemontesi, ma anche greci e ungheresi.
Catturati dopo una caccia spietata da parte delle SS della Divisione SS Leibstandarte Adolf Hitler, furono uccisi nelle “stragi del Lago Maggiore”: la più nota è quella degli ebrei catturati all’hotel Meina, 16 persone uccise e gettate nel lago, zavorrate con pietre. Altre vittime ci furono a Baveno, piccoli gruppi furono uccisi a Mergozzo, a Stresa, a Pian di Nava, a Mergozzo. E ancora a Orta, a poche decine di chilometri.
In totale le vittime identificate sono 57. Tra loro nove – famiglie Cantoni, Jarach e Modiano – furono catturate nelle ville e negli hotel di Arona. All’appello delle vittime ad Arona mancano però alcune persone che furono uccise senza che di loro si sapessero neppure i nomi: una famiglia catturata nei primissimi giorni e liquidata nei boschi sopra Arona.
«Era una famiglia di greci in fuga, arrivarono ad Arona in treno» sostiene Giacchino Oioli, ex sindaco di Invorio e cultore della memoria. Molto della vicenda è ricostruito sulla base di testimonianze del paese, pezzi di un puzzle messi insieme nel tempo. Ma qualche documento esiste.
C’è la testimonianza del maresciallo dei carabinieri di Arona al processo per le stragi del Lago Maggiore, istruito nel 1968 in Germania, dopo l’identificazione di alcuni ufficiali delle SS. Stando al verbale, al maresciallo Francesco Gino fu riferito da testimoni che il cadavere era stato sepolto in tutta fretta, « a poche centinaia di metri dalla brughiera»: «Dalla terra veniva fuori solo una mano. Così si diceva». Il maresciallo rischiava molto a muoversi: i tedeschi consideravano i carabinieri come forze dell’ordine, ma erano militari ed erano a rischio di deportazione (e le SS non andavano per il sottile, in quei giorni). Ciò nonostante, avviò l’indagine: il giorno dopo riuscì ad andare in zona, «ma non trovammo il cadavere. Notammo però che il terreno era stato spianato e c’erano segni di sterpi bruciati. Qualcuno, evidentemente, voleva far scomparire le tracce. Sul posto potemmo anche riscontrare l’esistenza di vari fori di proiettili, con schegge di ossa fradicie e frammenti di materia cerebrale».
«Venne violentata dalle SS e poi uccisa: venne rivelato da un testimone che era nei campi e nei boschi e riuscì a vederla» aggiunge oggi Oioli. Nel pannello redatto a Invorio sul luogo dove fu trovato il corpo, viene riferito anche che la ragazza “fu vista in municipio” nei giorni precedenti: è questo che fa ipotizzare che la giovane ebrea fu forse “venduta” da qualcuno della zona ai nazisti, per ingraziarseli o forse anche per poter sottrarre gli averi della famiglia in fuga.
Oltre a “Mimì”, la sera del 17 settembre, nella zona tra Arona e Invorio furono uccise altre tre persone. «Passò una macchina. C’erano dentro le SS» testimoniò ancora il maresciallo dei carabinieri al processo in Germania nel 1968. «Mi feci portare alla Salita Testa, ritenendo che lì sarebbero andati, i “boia”. Giunto sul posto, licenziai la macchina e mi nascosi nella boscaglia […] Ad un certo punto arrivò una camionetta militare. Scesero sette od otto persone, tra cui distinti due donne e un uomo. Stando disteso, per non farmi vedere, notai che si addentravano nel bosco. Un quarto d’ora dopo una voce disse, in italiano: “Brava mamma, fatta figlia molto buona”. Seguirono degli spari. Sempre standomene nascosto, vidi che tre corpi venivano caricati sulla camionetta».
Il maresciallo Francesco Gino contribuì nei giorni successivi ad identificare i cadaveri degli ebrei che affioravano dal lago e che i nazisti avevano cercato di far sparire. Le SS avrebbero voluto cancellare del tutto l’identità di quegli ebrei e invece un lungo lavoro successivo ha consentito di tramandarne il ricordo: ad Arona e Meina le “pietre d’inciampo” ricordano i nomi dei morti. Un’altra pietra sarà posata a breve per ricordare una delle vittime, Lotte Froehlich, nella città dove viveva, Gallarate.
La ragazza ebrea invece è solo un nome, che però non è andato disperso. Il piccolo cippo nel bosco di San Marcello ricorda una ragazza “senza volto e senza storia, apparsa improvvisamente e altrettanto improvvisamente scomparsa”. Il comitato di Invorio l’ha ricordata anche come “simbolo di tutte quelle centinaia di migliaia di sconosciuti che hanno pagato con la vita il sogno folle di un dittatore e dei suoi accoliti”.
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