L’inclusione dei centri estivi non funziona: va costruita durante l’anno, integrando attività e servizi
L'aumento del 20% di esclusioni dei bambini con disabilità dai centri estivi si contrasta promuovendo continuità e integrazione tra servizi scolastici, oratori e società sportive. La proposta di Spazio Blu Autismo
Il centro estivo inclusivo non è solo quello che accoglie con i bimbi con disabilità, è quello che offre all’unicità di ogni bambino il contesto adatto in cui creare relazioni, svago, crescita. Ne è convinta Cristina Finazzi, fondatrice di Spazio Blu autismo Varese e portavoce dell’associazione Uniti per l’autismo Lombardia, considerando sia la propria esperienza personale di mamma, sia il contesto generale, particolarmente escludente quest’anno in tutta la Regione Lombardia.
ESCLUSIONI E SERVIZI PARZIALI
L’associazione Ledha denuncia su Il Fatto Quotidiano un aumento del 20% delle denunce di esclusione dai centri estivi per i bambini lombardi con disabilità in questo 2022. «Troppe realtà hanno mostrato minore disponibilità ad accogliere bambini disabili giustificandosi con il diverso rapporto numerico tra educatori e bambini dovuto alla fine dello Stato di emergenza per Covid – spiega Finazzi – ma il dramma è che pure molti centri estivi con progetti specifici di inclusività attivi e finanziati da Regione, comuni o fondazioni, in realtà hanno offerto un’accoglienza molto parziale dei bambini, poco funzionale per l’organizzazione familiare e poco significativa se non addirittura negativa per la crescita dei bambini».
Le difficoltà e i fallimenti sono talmente tanti, tra orari ridotti al solo mattino, gite precluse, servizi parziali, manza di formazione specifica degli operatori e di reali momenti di condivisione di giochi e socialità tra bambini, da mettere in discussione l’intero impianto organizzativo di campi e oratori estivi.
«L’inclusione non può essere improvvisata in poche settimane di programmazione delle attività – afferma Finazzi – L’inclusione è un fatto culturale che non riguarda solo il bambino con disabilità ma tutto il contesto sociale in cui vive, perché garantire inclusione alla disabilità significa garantire inclusione a ogni unicità».
INTEGRARE I SERVIZI PER INGRARE I BAMBINI
L’entità del problema è tale che a poco serve recriminare sui singoli episodi: secondo Finazzi bisogna proprio cambiare passo. A cominciare dall’impostazione dei servizi rivolti ai bambini: «Bisogna gettare ponti durante tutto l’anno tra i diversi contesti di socialità dei bambini, a partire da scuola, centri di riabilitazione, oratori e attività sportive – propone Finazzi – In questa direzione il primo passo può muoverlo il Comune, promuovendo continuità tra i servizi scolastici e di accompagnamento per le attività estive. Ma anche tra scuola, oratorio e società sportive e centri specifici, in modo che l’inclusione sia un percorso lineare e consapevole, sostenuto in ogni aspetto della vita sociale dei bambini. Se gli adulti sono per primi arroccati ciascuno sulle proprie aree di competenza, incapaci di integrare servizi ed esperienze, come possono pensare di integrare i bambini?».
Creare continuità e integrazione dei servizi significa condividere informazioni, modus operandi e percorsi educativi, in modo da accompagnare i bambini nel loro percorso di crescita cn consapevolezza e responsabilità: «Succede invece troppo spesso che gli educatori cui è affidata l’inclusione del bambino non abbiano gli strumenti né teorici né pratici per operare correttamente, a volte neppure per entrare in relazione con il bambino. E questo ovviamente vanifica di fatto qualsiasi progetto o investimento nell’inclusione», spiega la portavoce di Spazio Blu Autismo.
GIOCHI E PROFESSIONALITÀ DEGLI OPERATORI
La professionalità degli operatori di oratori e campi estivi è un altro grande tema: «Purtroppo si tende a riproporre oggi ai bambini quello che si è sempre fatto, giochi basati sulla competitività, sul premio al più veloce, al più forte e a chi è arrivato prima invece di porre l’attenzione sulla cooperazione, sulla capacità di aiutarsi perché tutti si arrivi alla meta – constata Finazzi – perché l’inclusione sia reale questa attenzione non può averla solo l’operatore cui è affidato il bambino con disabilità, ma deve essere condivisa da tutto il team di educatori, altrimenti l’inclusione del bambino con disabilità, e di tutte le unicità di ciascun bambino, non può avvenire».
Accanto alla preparazione degli operatori, alla condivisione e all’integrazione nel tempo, durante tutto l’anno di pratiche ed esperienze e alla proposta dei giochi, altro aspetto in cui principi di inclusione vanno considerati è quello dell’organizzazione delle attività proposte: “Non posso avere inclusività se ogni settimana ci sono uno o due giorni in cui al gruppo del campo estivo vengono proposte attività precluse al bambino con disabilità – spiega la mamma – ci sono attività che proprio non sono adatte, ma altre dove semplicemente è sufficiente organizzarsi per far sì che tutti, ma proprio tutti, possano parteciparvi in serenità e sicurezza».
Un esempio? Se si sceglie di andare a fare una passeggiata si possono scegliere percorsi percorribili da tutti; se si tratta di andare in un’area giochi se ne può scegliere una inclusiva; se si tratta di andare in piscina sarà preferibile sceglierne una con livelli alti di accessibilità.
Più che un’idea quella di Cristina Finazzi è una proposta che attende sostenitori, per costruire percorsi di integrazione a partire da oggi, in vista della prossima stagione estiva.
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