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“Allarme cinghiali”: gli enti territoriali dell’alto Varesotto a confronto

Il tema della fauna selvatica fuori controllo è stato oggetto di un prezioso momento di confronto che ha visto la direzione del Prefetto di Varese Salvatore Pasquariello

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Il tema della fauna selvatica fuori controllo è stato oggetto di un incontro organizzato – martedì 11 ottobre a Palazzo Verbania di Luino – dalla Prefettura di Varese e Comunità Montana Valli del Verbano con gli enti territoriali. Un prezioso momento di confronto che ha visto la direzione del Prefetto di Varese Salvatore Pasquariello e la presenza del vicepresidente della Provincia di Varese Alberto Barcaro, esponenti di Regione Lombardia, la dott.ssa Barbara Franzetti di ISPRA – istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – diversi parlamentari e amministratori, i presidenti delle due Comunità Montane Valli del Verbano e Piambello, rispettivamente Simone Castoldi e Paolo Sartorio, i vertici provinciali di Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza e i rappresentanti delle associazioni agricole e dei cacciatori.

La presenza sempre più diffusa di cinghiali e ungulati, anche nel tessuto urbano, rappresenta una grave criticità che interessa l’intera provincia e che può determinare possibili rischi per l’incolumità delle persone. Il problema del sovraffollamento della fauna ha infatti diverse ricadute sul territorio, a partire dai danni che provocano – in particolare i cinghiali – nei campi, fino a quello stradali e sanitari, se si guarda al rischio della peste suina.

Un sovrappopolamento fauna che si unisce ad attività di contenimento chiaramente ancora non sufficienti, alla rabbia degli agricoltori – stanchi di subire continui danneggiamenti delle coltivazioni – e a normative vigenti che necessitano, come più volte ripetuto in sala, di un rinnovamento.

«Per quanto riguarda l’affrontare il problema, Regione Lombardia è diventata insieme a Emilia Romagna quella più efficace – spiega da remoto la tecnologa di ISPRA Barbara Franzetti – Ha attuato tutti gli strumenti messi a disposizione dalla normativa e ha in maniera coraggiosa esteso l’utilizzo di alcuni strumenti per la gestione del cinghiale anche se non propriamente “normati”, come l’uso dei visori notturni: strumenti assai efficaci per quanto riguarda l’individuazione degli animali e il loro successivo abbattimento. I risultati non potranno essere visibili subito, se non nel medio periodo. Soprattutto vista la specie, altamente prolifica. Negli ultimi vent’anni hanno trovato una situazione fortemente favorevole: l’abbandono delle aree rurali riconquistate dalle aree boschive, il crollo dell’utilizzo dei prodotti del bosco, il numero sempre più basso dei cacciatori e le modifiche climatiche per cui le stagioni invernali sono sempre più miti. Per cercare di arginare il problema, su 1000 cinghiali non basta più abbatterne la metà, 500, ma almeno 600/700. Bisognerebbe incidere sulla quota di femmine e piccoli ma è chiaro che questo ha sempre un risvolto etico e sociale complicato. Chiedere di togliere l’elemento riproduttivo ai cacciatori è una richiesta che non incontra sempre l’accordo di tutti».

Con i dati alla mano anche le Forze dell’Ordine e Marco Magrini, sindaco di Masciago Primo e direttore del Dipartimento di prevenzione veterinaria di ATS Insubria, portano all’attenzione del pubblico la problematica «Gli interventi per recuperare animali feriti o deceduti, per lo più nell’impatto con le auto, sono 164 solo nel 2022», spiega Magrini, e anche se nell’82%  dei casi la loro presenza si rileva a nord della provincia, le cifre sono in crescita anche nella zona sud,  quella più importante da tenere sotto controllo per quanto riguarda la peste suina. Questoperchè in quell’area (3) si trova il Parco del Ticino, che si collega a Pavia, e la risalita del virus potrebbe arrivare eventualmente da quella parte. Più di 200, invece, sono gli interventi fatti dalla Polizia e dai Carabinieri a partire dall’inizio del 2022, in particolare nelle zone di Valganna, Valcuvia e Brinzio. Per fortuna sono pochi i casi in cui il conducente o i passeggeri sono rimasti feriti.

A questo si aggiunge sullo sfondo anche la problematica sanitaria, in tema di peste suina: «Ci tengo a specificare che la peste suina presente al nord e centro Italia è molto diversa da quella in Sardegna. Non è una malattia che colpisce gli uomini ma cinghiali e suini domestici. Ma è un virus che fa paura, soprattutto perché è economicamente devastante -spiega il DG Welfare Marco Farioli -. Attualmente le zone colpite sono per la maggiore il Piemonte e poi le Regioni Liguria e Lazio. Ma dobbiamo stare attenti perché l’Oltrepò Pavese si trova proprio al confine con la zona infetta e questo potrebbe essere il cavallo di troia per l’ingresso in Pianura Padana. Se questo dovesse accadere si stima che potrebbero esserci circa 60 milioni di euro di danni al mese».

A tal proposito, Regione Lombardia si è subito attivata, dapprima delineando i fattori di rischio e focalizzando l’attenzione sugli allevamenti intesivi e rurali. Nel 2021 ha poi formato un nucleo di coordinamento che raggruppava figure professionali e sanitarie, forze dell’ordine e associazioni di agricoltori e, per evitare che i cinghiali infetti giungessero in Lombardia, hanno promosso la disposizione – in fase di completamento – di una rete metallica lungo il confine con l’Emilia Romagna.

«Queste barriere non possono però garantire la sicurezza al 100%» sottolinea ancora Farioli, ed è per questo importante avere una particolare attenzione agli allevamenti a carattere famigliare – che hanno spesso contatti con il mondo selvatico – attivare delle attività di bio-sicurezza e iniziare a ridurre drasticamente la popolazione.

E’ qui che entra in gioco la categoria dei cacciatori – dei tre ambiti – di cui l’attività, nonostante l’impegno, riscontra diverse problematiche, a partire dal fatto i cacciatori sono sempre meno e non c’è un ricambio generazionale. Questo, unito all’espansione sempre più veloce della fauna – che ormai si è spostata per cui non si trova più dove era 20 anni fa – a una loro modificazione comportamentale, che gli ha visti diventare sempre più aggressivi, e a paletti normativi che rendono sempre più difficile e poco incisivo il loro lavoro, cioè l’abbattimento di capi.

Anche Comunità Montana Valli del Verbano, prima con la promozione del sistema Road Kill e poi con l’apertura di una commissione di caccia, ha cercato di arginare il più possibile il problema, ma come tiene a sottolineare anche il presidente Paolo Sartorio della Comunità Montana del Piambello, molto grave è stato perdere un giro di caccia durante la pandemia, che ha portato ad ulteriori problematiche: «Io e Simone Castoldi (presidente di Comunità Montana Valli del Verbano) nel novembre 2020 abbiamo sollecitato e chiesto che si interpretasse il dpcm in merito alla caccia come fecero l’Alto Adige e e l’Emilia Romagna, cioè lasciare che i cacciatori continuassero la loro attività normalmente. Non fummo ascoltati, e i problemi di natura idrogeologica ora tornano da noi, sulle nostre strade e spalle. Anas ci chiede di provvedere perché ci sono sassi che rotolano giù dalla montagna, ma è chiaro che la colpa è dei cinghiali che li muovono. Questo solo per dire che probabilmente la nostra voce andrebbe ascoltata e non messa in un angolo. Inoltre, anche noi negli ultimi 15 giorni abbiamo notato un aumento pazzesco di cinghiali. Secondo me è troppo tardi aprire la caccia il primo novembre».

A prendere la parola in tema anche la Provincia: «E’ davvero un problema difficile da risolvere. Le risorse di personale sono quelle che sono ed è per questo che stiamo procedendo con l’assunzione di tre nuove persone. Potrebbe essere utile dare la possibilità ai cacciatori di utilizzare il silenziatore, questo per non creare rumore e permettere a questi ultimi di svolgere il loro lavoro senza che qualcuno chiami i carabinieri o altro». La richiesta, che arriva anche dai cacciatori, è inoltre quella di avere più sopporto e collaborazione, in particolare dai media. E se questa richieste rimane nell’aria, quelle relativa al possibile utilizzo del silenziatore, trova subito una risposta: «In Italia è assolutamente vietato e per questo bisognerebbe sentire il Ministero degli Interni, prendere quindi una strada politica. ISPRA ha già espresso un parere tecnico per la Regione Liguria, che colpita in pieno aveva sottolineato la necessità che la Polizia potesse utilizzare la pistola con il silenziatore per l’abbattimento» spiega ancora la dott.ssa Franzetti.

Oltre alla regolare attività di venatoria, un ruolo rilevante lo giocano anche le aree protette impegnate nelle attività di controllo e contenimento, come i Parchi Regionali, a cui Regione Lombardia sta cercando di andare incontro con diversi investimenti per l’acquisto di centri lavorazione selvaggine, centri di sosta e gabbie, alcune delle quali saranno presto distribuite nelle provincie lombarde dove, per la vicinanza ad abitati, scuole, non è possibile fare il prelievo.

«Ringrazio questo tavolo e i Parchi Regionali che stanno facendo la propria parte – aggiunge da remoto la Vicepresidente del Consiglio Regionale Francesca Brianza – E’ vero che gli agricoltori sono disincentivati nel richiedere i risarcimenti, perchè i danni che questi cinghiali provocano sono quotidiani. E questo, insieme ad altri mille aspetti, rispecchia un contesto molto complicato per cui è necessario fare un approfondimento normativo. Bisognerebbe mettere insieme i regolamenti provinciali, regionali e nazionali per poi fare un lavoro di modifica normativa, che è poi quello che si chiede se si vogliono tradurre in concreto ulteriori interventi. Noi siamo a disposizione per parlare con tutte le categorie».

A prendere la parola a proposito di modifiche normative è stato anche l’onorevole Stefano Candiani: «Bisogna mettere mano alla legge 157 del 1992.Gli strumenti devono essere innovati perché lo scenario è completamento cambiato rispetto al passato. Non facciamo ne gli iper-ambientalisti ne prendiamo il problema in maniera ideologica, perché il problema è reale, sia per gli enti e agricoltori, sia per una questione di tutela delle persone».

Sviscerata punto per punto la situazione – tenendo conto di tutti i punti di vista – si è giunti a una prima sommaria conclusione: gli strumenti a disposizioni per l’attività e il contenimento della fauna devono essere incrementati e migliorati, alcune normative necessitano di essere rinnovate e approfondite, deve esserci una maggiore attenzione verso gli allevamenti a carattere famigliare perché quelli a contatto con il mondo selvatico, bisogna incrementare, soprattutto in alcune zone, la caccia di selezione, imparare a operare con continuità e soprattutto avere obiettivi chiari per intraprendere azioni coordinate che vedano la convinta partecipazione di tutte le parti. Il quadro, ora un po’ più chiaro, diventerà oggetto di una relazione del Prefetto di Varese Salvatore Pasquariello, perchè la questione possa arrivare anche a Roma e al Governo.

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Pubblicato il 14 Ottobre 2022
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