La “rotta balcanica” di chi sogna la Germania passa da Porto Ceresio
L’Austria ha chiuso le maglie su chi cerca di raggiungere il Nord Europa, così il traffico di esseri umani passa sotto alle Alpi per trovare la via buona per uscire dall’Italia
Chi tutto si lascia alle spalle per una vita migliore difficilmente si ferma alle prime difficoltà, ma anzi è pronto a traversate pericolose, rischi per freddo, fame e soprattutto per avere a che fare con chi lucra sulle vite di persone in fuga assieme alle famiglie. Un fiume inarrestabile. E che se trova un canale bloccato, una via di fuga chiusa, ne individua immediatamente un’altra.
CORRENTE BALCANICA
Gli addetti ai lavori non sono dunque per nulla stupiti dal fatto che l’inchiesta della polizia di frontiera di Luino coordinata dalla procura varesina abbia dato i suoi frutti proprio a Porto Ceresio, tranquilla cittadina che si affaccia sul lago di Lugano diventata suo malgrado crocevia di quei traffici di disperati che sognano l’Europa del Nord, un “rivolo“ appunto, di quella corrente balcanica che cerca il suo sfogo puntando appena possibile verso Nord e che se trova le maglie che si stringono in Austria è obbligato a scorrere appena sotto le alpi per entrare appena possibile in Svizzera e da lì sfociare più a Nord.
LA RINCORSA SUL LAGO
Èd è proprio qui, al confine con la Svizzera che queste famiglie mediorientali, soprattutto curde e siriane con disponibilità di danaro contante, si appoggiavano. Il viaggio in treno, una volta arrivati in Italia, veniva fatto senza dare nell’occhio per arrivare in quell’enorme nodo per chi viaggia rappresentato dalla stazione Centrale di Milano. Qui genitori e figli, nonni e nipoti venivano spesso presi in consegna dall’algerino arrestato nei giorni scorsi e accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: il viaggio in treno era composto, con tutti i titoli di viaggio stampati e pronti per la vidimazione: bocche chiuse per non dare nell’occhio e anche l’abbigliamento era sobrio e curato proprio per evitare controlli. A volte le famiglie arrivavano invece alla stazione di Porto Ceresio e qui, pronte per la rincorsa fuori dai confini italiani, ecco che la casa dell’arrestato faceva comodo: bisognava però pagare profumatamente, anche centinaia di euro a persona per poter pernottare attendendo il momento propizio.
LO SCAMBIO
Durante il viaggio potevano avvenire anche disguidi e intoppi dell’ultimo momento: non c’è problema dal momento che attraverso la rete, e le app di messaggistica istantanea era possibile per l’organizzazione arrivare ai viaggiatori in incognito e spiegare loro cosa fare, su quale mezzo salire e verso quale destinazione, a quale fermata scendere e quanto aspettare.
Una volta partito il contatto della “rete“ con la Germania, a bordo di un’auto (nella foto scattata alla stazione di Porto Ceresio, un “van“ fermato dalla polizia con targa tedesca), l’appuntamento era appena fuori dal valico di confine italiano: i profughi salivano sulle auto spesso guidate dai connazionali e il gioco era fatto. In realtà grazie alla collaborazione fra polizia di stato e polizia cantonale gran parte degli arresti sono stati effettuati proprio durante questi spostamenti, alcuni proprio in territorio elvetico. Il resto l’hanno fatto le buone relazioni fra le magistrature dei due paesi che si concretano in rogatorie che permettono così di acquisire atti giudiziari utili alle indagini.
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